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Dal paio di parole che riconosco, i ragazzi al tavolino alla mia destra vengono dalla Turchia. Quattro ventenni tutti in tiro, i Diesel, i Ray-Ban a goccia. Le All Star. Uno ha delle cuffie Bose. In Montenegro? In un malfamato caffè sul porto? E mi sembra parlino di Kosovo. Due Stati che sono il crocevia di traffici illeciti di ogni genere. Vacanza?, dico. Il tipo con le cuffie mi guarda. Dice: giornalista? E tira fuori dallo zaino un librone di geometria. “O forse razzista. Se non sei europeo, o sei un contrabbandiere o un clandestino”.

O un jihadista. Come ha pensato l’altra volpe di giornalista che hanno incontrato ieri.

Studiano Architettura a Istanbul. E certo che sono qui in vacanza, perché dove altro possono andare? Giovani, maschi e musulmani: non avrebbero mai un visto Schengen.

E quindi Bar è meglio di niente.

L’anno scorso sono stati in Bosnia e in Croazia. Quest’anno sono arrivati a Sofia, in Bulgaria, e da Sofia sono andati a Skopje, in Macedonia, poi in Albania e in Montenegro. Da qui andranno in Kosovo. E sono quei momenti in cui ti ricordi quanto è insensata questa nostra scelta di chiudere le frontiere, chiuderle a tutti e tutto – sono quattro ragazzi svegli, curiosi: colti: dico che ho casa in Toscana, e uno mi spiega la cupola di Brunelleschi, che conosce meglio di me. Ma invece di andare a Firenze, a Parigi, a Vienna, andrà a Pristina. A vedere la nuova biblioteca: che sembra un babà. “Se non altro, vedo quello da cui non prendere esempio”.

Non è difficile immaginare la mia opinione in tema di frontiere. Sono io per prima una migrante. E quel tipo di migrante, tra l’altro, per cui nessuno ha spazio: sono una migrante economica. Ma non parlo di chi fugge, qui, parlo di chi viaggia. Perché le nostre frontiere sono chiuse non solo a chi vorrebbe trasferirsi da noi, ma a tutti. Senza distinzioni. Eppure, consentire ai non europei di andare e tornare dai nostri paesi, di viaggiare come noi viaggiamo, sarebbe logico soprattutto per chi teme i migranti. In Africa, in Medio Oriente, per chi ha vent’anni l’Europa spesso è un mito come per chi ha vent’anni in Europa sono un mito gli Stati Uniti: ma poi viverci non è semplice, per mille ragioni – e non solo economiche, non penso solo a chi ha una laurea in Ingegneria e raccoglie arance a Rosarno: chiedetelo agli occidentali che lavorano a Dubai. Hanno stipendi da migliaia di dollari, ma sperano solo di tornare presto a casa. Spesso quelli che non hanno alcuna intenzione di trasferirsi in Europa sono proprio quelli che possono andare e venire dall’Europa. Quelli che possono conoscere l’Europa. E poi, abbatteremmo questa sensazione di umiliazione che permea il Medio Oriente, e in generale il sud del mondo, e che è tanta parte del fondamentalismo islamico di questi anni. Questo sentirsi di serie B. E onestamente, esserlo: guardati sempre come presunti terroristi o clandestini. Presunti disperati.

Soprattutto, consentire ai non europei di viaggiare in Europa consentirebbe lo scambio culturale. Perché la guerra che è in corso è anche una sfida culturale. Come mi ha detto un islamista: “Voi volete liberare noi, e noi vogliamo liberare voi”. Viaggiare consentirebbe di vedere donne a capo di un’azienda, di un governo, a chi a casa sua vede donne solo in cucina: consentirebbe a chi vive in altro modo di sperimentare il nostro stile di vita. E a noi, di esportare certi valori con la forza dell’esempio, invece che delle armi.

Ma se poi si fermassero?, diranno in tanti. Cosa succederebbe? Succederebbe che diventeremmo come New York. Come Londra. Come Istanbul, che fa entrare senza visto cittadini di moltissimi paesi, e negli ultimi vent’anni è diventata una città straordinaria.

Abbiamo questa idea sprezzante che tutti vogliono venire da noi, tutti vogliono vivere come noi. No. Vogliono solo vedere Firenze, nient’altro. Roma. Venezia. Perché non siamo i migliori del mondo. Non siamo i più belli, non siamo neppure più i più ricchi: l’economia della Turchia è molto più dinamica di quella dell’Italia. A uno dei quattro hanno negato il visto tre volte. Voleva andare a Parigi. Onestamente, dice, non mi interessa più. “Perché poi cosa mi importa di quanto siano belle le sue strade, le sue statue? Mi sentirei indesiderato. Inferiore. Vieni da Istanbul, no? Sei uno straccione. Nei Balcani invece sono tutti gentili. E alla fine, le persone contano più delle statue. Io vivo con i vivi, non con i morti. Bar è molto più bella di Parigi”.

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