Dopo dieci mesi di stallo politico, il Congresso dei deputati spagnolo ha dato la fiducia a Mariano Rajoy premier per il secondo mandato. Il leader del Partito Popolare ha ottenuto 170 voti a favore su 349, 111 contrari e 68 astensioni. Fondamentale l’astensione dei socialisti, reduci dalle spaccature delle ultime settimane che hanno portato tra l’altro alle dimissioni dell’ex segretario Pedro Sanchez che per due volte aveva negato il via libera un nuovo esecutivo di Rajoy. “Saranno quattro anni molto difficili quelli che andremo a governare – ha detto il presidente del governo davanti al Congresso – Credo che con forza, coraggio e determinazione molti ostacoli saranno superati. C’è molto lavoro da fare. Cercheremo di trovare accordi di volta in volta” ha commentato subito dopo il voto il nuovo premier. Il nuovo governo sarà annunciato giovedì e venerdì giurerà davanti a re Felipe VI. Dopo 40 anni di bipartitismo Pp-Psoe la Spagna entra in una fase senza precedenti nella quale per la prima volta dalla fine del franchismo il potere si sposterà dalla Moncloa, la presidenza del governo, al Parlamento. In Spagna le trattative per un nuovo governo andavano avanti da mesi: alle ultime elezioni politiche di giugno, così come alle precedenti dello scorso dicembre, i popolari si erano confermati di gran lunga il primo partito ma senza avere mai la maggioranza.

Rajoy ha ribadito che formerà un governo “di dialogo” e negozierà tutto o quasi con il parlamento. D’altra parte guiderà un governo di minoranza e di volta di volta dovrà cercare di far approvare al Congresso leggi, emendamenti e articoli con un Congresso in cui non ha la maggioranza. Per il leader popolare inizia un percorso ad alto rischio in una legislatura definita “da infarto”. Governerà con un esecutivo di debole minoranza – “la maggioranza più minoritaria della storia recente” ha detto il capogruppo Pp Rafael Hernando – costretto a negoziare tutto continuamente con i partiti dell’opposizione per non cadere.

Avrà dalla sua solo 137 seggi su un totale di 350 quindi ogni volta dovrà conquistare non solo Ciudadanos (che oggi ha votato la fiducia), ma anche pezzi del Psoe, il partito socialista. Ma già questa volta sugli 84 deputati socialisti, 15 si sono espressi in modo contrario non rispettando il diktat del Comitato federale del partito. Una nuova giornata quasi drammatica per i socialisti anche perché ha annunciato le sue dimissioni da deputato l’ex leader Pedro Sanchez, per evitare di rispettare l’ordine di astensione. Davanti al Parlamento circa seimila manifestanti vicini a Podemos hanno protestato con lo slogan “No all’investitura illegittima, ‘democrazia”. Contro Rajoy hanno votato infatti Podemos, i suoi alleati catalani, valenciani e galiziani, i partiti baschi e quelli indipendentisti catalani. Da Podemos e indipendentisti sono piovute anche  accuse di “tradimento” sul Psoe, in un clima incandescente a sinistra.

Rajoy ha detto di volere andare fino al 2020, ma molti danno al massimo 2 anni al governo che sarà costituito giovedì. “Sarà il suo epilogo” ha previsto il leader di Podemos Pablo Iglesias sicuro che “prima o poi vinceremo noi”. Il cammino del nuovo governo Rajoy è irto di ostacoli e incognite politiche. Sulla sua tenuta peserà l’evoluzione del Psoe. Nelle prossime settimane si farà incandescente la lotta per il controllo del partito fra la presidente andalusa Susana Diaz all’origine del defenestramento di Sanchez e della svolta dell’astensione su Rajoy e l’ex-leader. Il partito ha bisogno di tempo per ricostruirsi e rispondere alla minaccia esistenziale di Podemos. E Sanchez è pronto a tornare in corsa. I suoi seguaci premono per Congresso e primarie per un nuovo leader al più presto. Una nuova vittoria di Sanchez potrebbe segnare la fine anticipata del nuovo governo togliendo a Rajoy ogni possibile appoggio puntuale dei socialisti.

Sul cammino di Rajoy c’è poi il rebus Ciudadanos, se cioè il partito di Albert Rivera lo appoggerà sulla base del patto di investitura in 150 punti siglato con il Pp o farà opposizione. C’è, infine, il macigno della secessione che il presidente della Catalogna Carles Puigdemont vuole raggiungere per la fine del 2017. Una potenziale bomba atomica per il governo Rajoy e per tutto il Paese.

 

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