Donald Trump rifiuta di dire se riconoscerà un’eventuale sconfitta. E’ l’elemento politico forse più interessante emerso dal terzo, e ultimo, dibattito presidenziale, tenuto alla University of Nevada di Las Vegas. Alla domanda del moderatore, Chris Wallace di Fox News: “Mr. Trump, accetterà il risultato elettorale?”, il candidato repubblicano si è prima lanciato in un attacco ai media e al loro ruolo nel manipolare le elezioni. Wallace ha reiterato la domanda e Trump ha esclamato: “Deciderò in quel momento. Vi manterrò in uno stato di suspence”. Al che Hillary Clinton, accanto a lui sul palco, ha commentato: “E’ orribile. Va contro l’intero corso della nostra democrazia”.

Questo terzo dibattito, iniziato su una nota sorprendentemente civile (rispetto al tono generale della campagna) è presto degenerato in un nuovo scambio di insulti. Clinton ha definito Trump “un pupazzo” nelle mani di Putin. Trump ha più volte dato a Clinton della “bugiarda” e ha detto che “gente che ha fatto molto meno di lei ora è in galera”. Rispetto ai primi due dibattiti, il repubblicano è apparso più controllato, più capace di articolare una proposta politica. Verso la fine della discussione è però di nuovo inciampato nelle teorie cospiratorie che hanno tolto credibilità alla sua campagna (soprattutto, il “complotto” dei media contro di lui). Il rifiuto di dire se accetterà l’esito delle urne è alla fine parso un ennesimo passo falso (nelle scorse ore, sia la figlia Ivanka sia il campaign chairman Steve Bannon avevano invece spiegato che Trump è deciso accettare il risultato).

Hillary Clinton, grande favorita nei sondaggi, ha cercato invece di far risuonare una nota più positiva – in questa campagna segnata come non mai da dettagli sordidi e attacchi personali. Si è rivolta a “democratici, repubblicani e indipendenti”, ha dipinto un’America “più unita e solidale”. Non ha mancato di attaccare ancora una volta Trump sulla questione delle donne: “Donald pensa che sminuire le donne lo faccia apparire più forte – ha detto -. Si scaglia contro la loro dignità, contro la loro autostima; non c’è una sola donna che non sappia come ci si sente quando ti trattano così”. Nonostante il tentativo di apparire più “presidenziale”, nonostante lo sforzo di dipingere Trump come uno sfidante ormai scoppiato e passato, Clinton non è riuscita, ancora una volta, a emergere per la forza della sua proposta e della personalità poltiica. In almeno due occasioni – sulla questione delle mail e sulla Clinton Foundation – è anzi apparsa in serie difficoltà.

La serata, come si diceva, è iniziata in modo piuttosto tranquillo, quasi sottotono rispetto ai due precedenti dibattiti. Trump e Clinton hanno parlato di Corte Suprema, di armi e di aborto. Trump si è lanciato in una tirata a favore del Secondo Emendamento, ha ringraziato la National Rifle Association per aver appoggiato la sua campagna, ha spiegato di voler nominare alla Corte Suprema giudici contrari alla Roe v. Wade, la sentenza che ha legalizzato l’aborto negli Stati Uniti. Clinton ha detto che “una legge ragionevole sul controllo delle armi non significa essere contro il diritto degli americani di portare le armi. E poi ha difeso in modo categorico la Roe v. Wade e i diritti riproduttivi delle donne, “da cui lo Stato deve tenersi lontano”.

Sembrava, per una volta, che la discussione potesse mantenersi sulle cose, sulle politiche, senza invadere il personale. L’impressione – la speranza, verrebbe da dire – è durata pochissimo. E’ stata Clinton ad andare pesantemente all’attacco sul tema dell’immigrazione, ricordando che Trump ha usato “immigrati senza documenti per costruire la Trump Tower” e che tutto il tema della difesa del suolo nazionale e del lavoro degli americani è un’ipocrisia: “Trump usa acciaio straniero per costruire i suoi alberghi”. A questo punto Trump è esploso e ha accusato Clinton e il marito di aver firmato il NAFTA, “il trattato di commercio più disastroso della storia americana”, e di essere a favore di “confini aperti” che metteranno in pericolo sicurezza e lavoro degli americani. Le posizioni sul tema sono apparse comunque chiaramente delineate. Trump è contrario a ogni amnistia. “E’ un fatto di giustizia – ha spiegato – c’è gente che ha seguito le vie legali per diventare americano e che ora si vede superato da chi ha vissuto nell’illegalità”. Clinton ha invece detto di voler proporre quanto prima una nuova legge sull’immigrazione; ha esposto l’impossibilità di “rastrellare undici milioni di persone per poi espellerli” e ha detto di “non voler dividere le famiglie”. Per lei, d’altra parte, il voto ispanico è a questo punto essenziale.

Proprio sul tema dell’immigrazione è venuto il primo grave inciampo della serata per Clinton. Il moderatore Chris Wallace le ha fatto notare che in una delle sue conferenze private e profumatamente pagate (come rivelato nelle email pubblicate da Wikileaks), Clinton avrebbe detto di essere favorevole a “confini del tutto aperti”. La democratica prima ha balbettato una fragile scusa: “Mi riferivo al problema dell’energia”, poi ha cercato di virare la discussione sul tema delle email, accusando la Russia di cyber-spionaggio “per influenzare le elezioni americane”. Quindi, ha chiesto a Trump di “ammettere e condannare quello che i russi stanno facendo”. Trump si è limitato a dire di non conoscere Putin, che “se sarà possibile avere rapporti migliori con la Russia è una buona cosa” e che comunque “Putin mi rispetta più di quanto rispetti il presidente Obama o una possibile presidente Clinton”. “E’ perché vuole un pupazzo come presidente”, ha ribattuto secca Clinton. “Tu sei un pupazzo. Tu sei un pupazzo”, ha sibilato Trump.

L’altra occasione in cui Clinton è parsa in seria difficoltà è sul tema della Clinton Foundation. Alla domanda di Wallace su possibili conflitti di interesse tra il lavoro come segretario di stato e la fondazione, Clinton non ha risposto e si è lanciata nell’esaltazione dello “splendido lavoro fatto. Abbiamo aiutato milioni di malati di Aids, ne vado fiera”, ha spiegato. Per Trump, la Clinton Foundation è invece “un’organizzazione criminale. Perché avete preso soldi da Paesi come l’Arabia Saudita, che viola i diritti delle donne?”, ha chiesto polemicamente alla Clinton. E’ stato un altro momento in cui la candidata ha trasmesso un’impressione di scarsa trasparenza, di insincerità – ciò che resta il suo limite politico più grande. Trump del resto non ha mancato di evidenziare questo aspetto, in un crescendo di attacchi e insulti a Clinton: per aver cancellato 33 mila mail inviate dal server privato quand’era segretaria di stato; per aver artificialmente montato le accuse di molestia sessuale nei suoi confronti; per fingere di essere paladina della classe media e dei più deboli, quando invece la campagna democratica è largamente finanziata dagli interessi particolari.

In un’occasione Clinton è parsa difendersi bene: sul tema dell’esperienza. Trump ha infatti più volte rilanciato l’accusa a Clinton di essere una politica spregiudicata a incapace: “Hai esperienza – le ha detto – ma si tratta di cattiva esperienza. Tutto quello che hai fatto si è rivelato un errore. Per trent’anni sei stata nella posizione di poter aiutare e non l’hai fatto. Parli, ma non combini nulla, Hillary. Nulla”. Clinton ha replicato: “Negli anni Settanta ho lavorato per il Children’s Defense Fund e mi battevo contro la discriminazione dei bambini neri a scuola. Trump veniva inquisito dal Dipartimento alla giustizia per discriminazione razziale nei suoi appartamenti. Negli anni Ottanta lavoravo per la riforma della scuola in Arkansas. Lui prendeva in prestito 14 milioni di dollari da suo padre. Negli anni Novanta, sono andata a Pechino e ho detto che i diritti delle donne sono diritti umani. Lui insultava l’ex Miss Universo, Alicia Machado, e la chiamava una macchina da cibo. E quando mi trovavo a monitorare il raid per portare Osama bin Laden davanti alla giustizia, lui presentava ‘The Celebrity Apprentice’. Lascio agli americani giudicare”.

Con il passare dei minuti, lo scontro è diventato sempre più aspro. Clinton e Trump si sono scontrati su tutto: sui piani per creare posti di lavoro, sulla Siria, sull’Obamacare, sulla riforma del Welfare e sul modo per ridurre il deficit. Alla fine, dopo più di un’ora e mezza di quello che sarà, con ogni probabilità, il loro ultimo incontro pubblico, Trump e Clinton si sono lasciati senza stringersi la mano; segno dell’astio, dell’aperto disprezzo che regna tra i due. Il dibattito, probabilmente, non ha cambiato molto nella dinamica della campagna. Se Trump è apparso più in controllo di se stesso rispetto al passato, non ha offerto una prova capace di invertire le dinamiche di questa campagna (che danno largamente favorita, nei sondaggi, Hillary Clinton). Resta poi, su tutto, la minaccia di non riconoscere un’eventuale sconfitta: ciò che potrebbe approfondire la ferita profonda e le divisioni che questa campagna ha già provocato nel tessuto politico e civile degli Stati Uniti.

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