Il 14 ottobre scorso il “Comitato Donne Arezzo per il Sì” che  sostiene la Riforma costituzionale ha organizzato un incontro pubblico insieme alla senatrice democratica Donella Mattesini (promotrice dello stesso comitato) per parlare della parità di rappresentanza tra uomini e donne che la riforma  promuoverebbe nell’articolo 55 nel caso vincesse il sì.  Guardando la locandina adoperata per pubblicizzare l’iniziativa si noteranno tre figure stilizzate in  rosa su uno sfondo violaceo.  E’ singolare che il messaggio sulla locandina – “E’ importante per le donne dire sì” – rievochi contenuti come l’invito alla subordinazione, l’acquiescenza come qualità squisitamente femminile, quei “no che in fondo vogliono dire sì” che  proprio per la storia delle donne dovrebbero essere evitati come la peste. Soprattutto se si fa propaganda sulla parità di genere. Pinkwashing ci cova. Una pennellata di rosa per dare appeal a una brutta riforma?

referendum_volantino_siPurtroppo la maggiore presenza di deputate e senatrici per quanto auspicabile, perché rispetterebbe il principio della parità, non porta necessariamente a un cambiamento per le donne anche perché tra coloro che arrivano alle poltrone ci sono le conservatrici e anche giurate nemiche del femminismo e delle politiche di genere.

Nel Gender Gap Report del 2015 il mondo del lavoro restava preclusivo e discriminatorio per le italiane. Paradossalmente il balzo positivo che veniva registrato era proprio l’aumento delle donne in parlamento: dal 22 al 31%. Invece  le disuguaglianze nell’accesso del lavoro tra donne e uomini tuttora permangono e resta alto il divario di genere anche in seno alla retribuzione. Lo smantellamento del diritto di lavoro ha peggiorato la condizione di uomini e donne ma ha esposto ancora di più queste ultime a ricatti sul lavoro, dalle molestie sessuali alla scelta tra lavoro e figli. Di  leggi sui congedi dal lavoro per paternità e maternità che siano di pari durata, come quelli varati in alcuni Paesi europei, non si vede nemmeno l’ombra e in Italia ci sono, come fosse una grandissima conquista, solo quei tre giorni obbligatori di congedo per paternità introdotti dalla riforma Fornero (prima esistevano ma facoltativi e utilizzati solo dal 6,9% dei padri). Non si fa nulla per sollevare le donne dal tradizionale lavoro di cura, lasciando sulle loro spalle il peso dello smantellamento del welfare. Anche quando la scelta di un figlio è un lusso che poche si possono permettere, la risposta ai problemi che portano a una bassa natalità è fatta con vuota propaganda.

Lo scorso mese di settembre, la gran cassa sul Fertility day  promosso dalla ministra della Salute, Beatrice  Lorenzin, è stata varata (ed è pure naufragata) con le cartoline-propaganda che hanno sollevato dure proteste. Le parlamentari  sul fronte dell’applicazione della 194 non hanno messo in campo nessun tipo di iniziativa significativa per bloccare l’obiezione di coscienza ed evitare il ritorno dell’aborto clandestino. Nessuna risposta è giunta al gruppo #ObiettiamoLaSanzione  per la lettera inviata all’Intergruppo parlamentare, presieduto da Laura Boldrini, contro l’aumento della sanzioni pecuniarie per l’aborto clandestino. Il silenzio non è la scelta migliore per provare che l’essere donna sia un valore aggiunto.

Deputate e senatrici si limitano per lo più a reagire in caso di attacchi sessisti con azioni e iniziative che si limitano alla difesa d’ufficio delle donne ma non mettono in campo forza e innovazione nelle politiche per la parità mentre le donne in questo Paese sono in grande difficoltà e vedono erodere i diritti e le conquiste dalle loro madri.

Forse ci sono troppe yeswoman a sedere sulle poltrone, tese a dire quasi sempre sì, alle scelte politiche del  leader del loro partito. Per il 50 e 50 sono in cerca di quelle?

@nadiesdaa

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