Il socialdemocratico Peer Steinbrück si è dimesso dal parlamento tedesco il 29 settembre scorso. Non stiamo parlando di uno qualsiasi: dal 2005 al 2009 è stato ministro delle finanze federale nel primo governo guidato da Angela Merkel, che poi ha sfidato, perdendo, alle politiche del 2013. “Che mossa coraggiosa”, ho pensato. “A 69 anni si sarà rotto della politica e avrà deciso di fare il nonno a tempo pieno”. Più di una volta, infatti, l’ho incrociato nel parco del mio quartiere a spingere il nipotino nel passeggino. Poi però arriva la doccia fredda. Il 5 ottobre nonno Peer comunica di aver saltato la staccionata per essere assunto come superconsulente dalla banca olandese Ing, quella del conto arancio per intendersi.

Non vedo alcun conflitto di interesse. Sono stato ministro ormai sette anni fa”, ha dichiarato. “E poi la Ing ha una lunga tradizione socialdemocratica alle spalle e non è stata coinvolta in alcuno dei recenti scandali bancari“. Dimentica che, nel 2008, la banca arancio, travolta dalla crisi finanziaria, è stata salvata dallo Stato olandese con un’iniezione di 10 miliardi di euro. Dimentica anche il patteggiamento da 619 milioni di dollari con le autorità Usa nel 2012 per violazione dell’embargo iraniano. E deve proprio avere una memoria da pesce rosso per non ricordare che, due giorni prima del suo “salto della quaglia”, Ing ha annunciato il possibile taglio di 7 mila posti di lavoro in Belgio e nei Paesi Bassi entro il 2021. Una mossa non propriamente socialdemocratica.

Herr Steinbrück non è il primo in Germania a cambiare casacca per mettere le sue competenze e i suoi preziosi contatti a servizio del mondo finanziario e industriale. A fine luglio il settantaduenne ex cancelliere socialdemocratico Gerhard Schröder è stato nominato presidente del Consiglio di Amministrazione di Nord Stream 2 AG, la società controllata al 51% dalla Gazprom di Putin che ha lo scopo di costruire altre due condutture per importare il gas direttamente dalla Russia alla Germania, in barba alle sanzioni anti-russe dell’Unione Europea.

Nel settembre del 2005, quando era ancora cancelliere, lo stesso Schröder aveva firmato con Putin l’accordo per la costruzione del primo gasdotto Nord Stream, poi aveva perso le elezioni contro Angela Merkel e, nei primi mesi del 2006, era stato nominato presidente del Consiglio di Sorveglianza di Nord Stream AG (sempre controllata da Gazprim) carica che tuttora detiene e che gli frutta 250.000 euro all’anno (che si aggiungono naturalmente alla pensione da cancelliere).

E poi c’è l’ex ministro degli esteri e vice-cancelliere nel governo Schröder, il verde Joschka Fischer. L’uomo che nel 1985 per sfidare il sistema aveva giurato come assessore al’ambiente della regione Hessen senza cravatta e in scarpe da tennis bianche, ha oggi una società con cui ha venduto consulenze al gasdotto Nabucco (mai realizzato) oltre che a BMW e a Siemens (nel 2009, in collaborazione con l’ex segretario di Stato Usa Madeleine Albright).

Le porte girevoli tra politica e mondo industriale o finanziario non sono certamente solo un vizietto tedesco. Basti pensare alle consulenze milionarie (mai smentite) di Romano Prodi e dell’ex leader britannico Tony Blair al dittatore kazako Nazarbayev o a Lapo Pistelli (Pd), che il 15 giugno 2015 si è dimesso da viceministro degli esteri del governo Renzi e due settimane dopo è diventato vicepresidente senior di Eni.

Oppure all’ex presidente della Commissione Europea (dal 2004 al 2014) José Manuel Barroso, che dall’8 luglio 2016 è diventato presidente non esecutivo e advisor del colosso bancario di Wall Street Goldman Sachs. A fine settembre un’inchiesta del quotidiano portoghese Publico ha rivelato che lo stesso Barroso avrebbe incontrato in numerose occasioni i top manager di Goldman Sachs mentre era presidente della Commissione Europea, senza però registrare ufficialmente gli incontri, considerati dalla banca USA “estremamente fruttuosi”. Grazie ai dieci anni di contribuzione da presidente il sessantenne Barroso percepisce, già da quest’anno, 7.000 euro di pensione al mese, che però a quanto pare non gli bastavano.

I politici che saltano sul carro delle imprese per integrare pensioni da favola con consulenze private non sono soltanto un insulto alla povertà crescente di milioni di cittadini europei. Sono anche un insulto alla politica come mezzo per il raggiungimento del bene comune. Chi passa direttamente da incarichi di governo a posizioni di rilievo nell’industria e nella finanza getta subito un’ombra sulla reale indipendenza delle decisioni prese nel corso del mandato politico e contribuisce ad aumentare la già smisurata sfiducia dei cittadini nei confronti dei governanti.

Il parlamentare europeo tedesco dei Verdi Sven Giegold suggerisce che si introducano periodi di aspettativa di almeno 24 mesi per il passaggio da politica a settore privato, per ridurre al minimo i possibili conflitti di interesse. Sarebbe un buon inizio. Con l’obiettivo, però, di arrivare a un divieto assoluto nel lungo periodo. In modo che anche i nipotini di ex ministri e cancellieri possano godere delle cure incondizionate dei propri nonni.

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