L’autobus dei neri è partito alle 6,15. Quello dei bianchi un quarto d’ora dopo. Siamo a Calizzano, nell’Entroterra di Savona, ma ieri sulla prima corriera che porta in città sembrava di essere a Lagos, in Nigeria: 14 africani e una manciata di italiani. O, se preferite, pareva di essere nell’America degli anni Cinquanta dove la giovane nera Rosa Parks si batteva per poter viaggiare sui bus con i bianchi.

Dunque ha funzionato il diktat del sindaco che aveva detto: “Servono corriere separate per i profughi”. Ma la realtà, a visitare Calizzano, è diversa. Più complessa. “E forse si potrebbe trovare una soluzione senza separare i residenti dai migranti”, come sussurra Marco, uno studente che ogni mattina sale sull’ormai famoso autobus.

Già, Calizzano è uno dei tanti comuni dell’Entroterra savonese: 1.545 anime che vivono in uno dei paesi dell’Alta Val Bormida. Centri sempre più vuoti che rischiano di svuotarsi e perdere la propria identità. Per lavorare e studiare bisogna andare fuori, c’è il rischio di trasformarsi in un dormitorio. Qui da due anni sono arrivati quaranta profughi, ospitati nell’albergo Lux gestito dalla cooperativa il Faggio. Sono il due per cento della popolazione, ma nell’Entroterra ligure la percentuale di residenti anziani è molto alta (l’età media sfiora i 50 anni) e la presenza risalta più che altrove. Fa più paura, forse.

“Finora – ricorda ancora Marco – ha funzionato tutto bene. Anzi, i nuovi arrivati si sono integrati. Ci sono una decina di profughi che fanno volontariato in Comune. L’allenatore della squadra di calcio è un migrante”. Insomma, sembrava filare tutto liscio. Fino a sabato notte, quando nel centro di accoglienza è scoppiata una rissa: un paio di ivoriani se le sono date di santa ragione con dei nigeriani. “Sono arrivati i carabinieri, le ambulanze”, raccontano in paese. Niente di drammatico, pare, nessun abitante è stato coinvolto. Ma quei lampeggianti viola nella notte di un paesino come Calizzano hanno acceso la paura. Hanno dato fiato a qualche malumore che covava sotto la cenere.

“Abbiamo fatto di tutto per integrare i migranti, ma ora il clima è cambiato”, ha detto al Secolo XIX il sindaco Pierangelo Olivieri. Di lui, avvocato quarantatreenne, si erano già occupate le cronache dopo il suo rifiuto di celebrare unioni omosessuali: “Sono prima di tutto cattolico”, aveva dichiarato.

“Sì, sull’autobus l’ambiente non è piacevole”, racconta ancora Marco, “A volte vola qualche parola di troppo. C’è chi lancia sguardi non proprio eleganti alle ragazze. Ma soprattutto siamo stipati come bestie e tutto si esaspera”.

Un operatore che con gli immigrati lavora sempre la vede così: “Credetemi, finora ha funzionato tutto bene. Anzi, questi ragazzi hanno portato un po’ di vita a Calizzano. Ma non bisogna nascondersi anche i problemi: per quanto siano bravi e disciplinati, sono sempre dei giovani. E mettete quaranta ragazzi, tutti maschi, insieme. Il punto non è che sono africani, ma che hanno vent’anni… hanno bisogno di incontri, di vita! Una soluzione, però, si può trovare senza cacciare via le cose buone fatte, senza tirare fuori gli autobus separati”.

Ma ormai la questione rischia di sfuggire di mano. Prima c’è stato il vertice che sarebbe stato convocato la settimana scorsa dal sindaco Olivieri, ma disertato dalle altre autorità. Poi, appunto, l’autobus: “Abbiamo chiesto alla cooperativa di sensibilizzare gli ospiti perché evitino, se non necessario, di utilizzare le due corriere delle 6,30 e delle 6,45 che sono già congestionate”, aveva spiegato Olivieri. Bus separati per bianchi e neri? “Niente razzismo o intolleranza. In questi due anni abbiamo ampiamente dimostrato il contrario”, assicura il sindaco. Danilo Pisano, presidente della cooperativa, non era proprio d’accordo: “Questa ipotesi è degna del peggiore stato di apartheid”.

Ma la linea è sottile. In una regione dove ad Alassio e in altri comuni i sindaci avevano firmato ordinanze in cui si vietava ai migranti di entrare nel territorio del comune senza un certificato medico. Dove, a Ventimiglia, era stato vietato ai cittadini di dare da mangiare per strada ai migranti. E nell’agosto scorso, all’Abetone – comune toscano al confine con la Liguria – il sindaco Giampiero Danti aveva proposto la stessa soluzione: “Siamo 622 abitanti, ci sono 54 migranti. Nessun razzismo, ma servono bus per gli studenti”. Subito erano esplose le polemiche: “Bus separati per neri e bianchi, come nell’Alabama di cinquant’anni fa”, lo aveva accusato il viceministro Riccardo Nencini (Psi).

Marco, studente di Calizzano che su quei bus ci sale ogni mattina, ha una soluzione diversa: “Quando c’è un malessere si rischia sempre di prendere un capro espiatorio. I profughi sono perfetti. La gente qui non è intollerante, non facciamola diventare razzista. Risolviamo piuttosto i problemi: servono più autobus la mattina presto. La razza non c’entra niente, è una questione di soldi e di serietà. Si può cercare una soluzione”. Per trovarla oggi si riunisce un vertice in Prefettura a Savona.

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