Sindaci insindacabili, consiglieri doppiamente insindacabili. Che da novelli senatori potranno pretendere l’immunità anche da amministratori locali e magari per fatti e opinioni riferiti a quando neppure lo erano, conquistandosi così una lunga coperta di impunità e alimentando la girandola di conflitti d’attribuzione tra autorità giudiziaria e Parlamento. Questo è lo scenario che si apre con la riforma Boschi, sostiene il costituzionalista Antonio D’Andrea che degli effetti dell’estensione delle guarentigie del nuovo Senato ha fatto un’analisi in corso di pubblicazione. Un assaggio e un caso concreto lo offre la diatriba che ha come protagonista il senatore Ncd Gabriele Albertini. 

Da sindaco di Milano Albertini nel 2011 era entrato in rotta di collisione con Alfredo Robledo che indagava sui derivati. Rilascia al Sole24Ore due interviste in cui sostiene che il magistrato in realtà stava perseguendo la sua giunta per motivazioni politiche. Robledo  lo querela per calunnia aggravata presso la Procura di Brescia. Albertini non è più sindaco ma eurodeputato e per scampare all’incriminazione si rivolge al Parlamento Europeo che nel 2013 gli nega l’usbergo dell’immunità, rilevando che i fatti contestati si riferivano a quando era sindaco. Poi diventa senatore dell’Ncd e il 29 luglio 2014 bussa alla giunta di Palazzo Madama chiedendo la protezione e la copertura cui crede di aver diritto. Al punto che mentre la giunta per le immunità si riunisce sul suo caso minaccia di mandare sotto il Pd in Senato: “Se poi la stessa maggioranza, quando io ho un problema, mi vota contro, allora sono io che non voto più”.

Parole di Albertini riportate da Repubblica che racconta lo scontro in corso nella giunta, dove i relatori Pd erano orientati a concedere protezione finché è intervenuto Felice Casson, ex giudice istruttore di Venezia. “L’immunità non è perpetua non può coprire l’intera vita di un senatore”, spiega Casson. “Quindi, nel caso di Albertini, prima di pronunciarmi, voglio capire bene a quando risalgono i fatti e che ruolo aveva in quel momento Albertini, se era sindaco o parlamentare europeo, o senatore. Perché se era solo sindaco non può ottenere la copertura del Senato”. Ma in tal caso comincerà a votare contro Renzi, ragion per cui il Pd è in fibrillazione. E qui siamo, alla decisione che potrebbe virtualmente diventare un precedente per il nuovo Senato che si candida a diventare il posto dove mandare gli amministratori locali a lavare i loro reati. E senza che debbano ordire ricatti, perché l’armatura calerà automaticamente sulle loro spalle con la nomina. Un rischio tutt’altro che campato per aria.

Il costituzionalista: “Evidente estensione delle deroghe”
Il costituzionalista Antonio D’Andrea, insieme a tre colleghi (Apostoli, Gorlani e Troilo), sta per pubblicare un testo che tratta esattamente l’argomento. Il capitolo 7 recita: “Dalla riconferma della libertà di mandato all’applicazione delle immunità parlamentari per i nuovi senatori”.  “Il problema nasce con la scelta di cambiare la composizione e il metodo di elezione dei nuovi senatori ma non le garanzie immunitarie connesse alla carica, così come definite dall’art. 68 della Costituzione”. Non è una questione da poco, perché “quella prerogativa non discende più da una effettiva capacità rappresentativa dell’elettorato e comporta una evidente estensione delle deroghe al principio di legalità e uguaglianza che un pilastro su cui si fonda lo Stato”.

Non senza alcune illogicità: “ad esempio la disparità nelle prerogative tra sindaci-senatori e consiglieri-senatori, per cui questi ultimi godono di una doppia immunità legata al loro incarico amministrativo. Inoltre non è ben chiaro il discrimine delle guarentigie rispetto alle funzioni, se in altre parole i nuovi senatori potranno avvalersene anche per attività extraparlamentari di sindaci e consiglieri”. In verità, ricorda D’Andrea, la Corte Costituzionale è più volte intervenuta per annullare atti di diniego delle Camere a procedere laddove non rinvenisse un “nesso funzionale” tra l’oggetto delle contestazioni e l’attività propriamente politico-parlamentare. E il caso Albertini? “Se le cose stanno così penso che si arriverà allo stesso nodo, si dovrà accertare se i fatti sono antecedenti o successivi all’assunzione della carica di senatore. Ma certo è la riprova che estendere le prerogative parlamentari senza distinguo a chi ha incarichi  amministrativi pone una serie di criticità e aumenta le conflittualità su una materia già molto delicata”.

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