Le proposte che emergono dal governo conservatore inglese relativamente alla Brexit vanno tutte in una direzione sola: piena libertà di circolazione delle merci e dei capitali e controllo rigido – con discriminazioni ed ostacoli – della circolazione delle merci che camminano su due gambe, cioè degli uomini e delle donne. A tutti gli effetti la Brexit ha quindi dato la stura a proposte reazionarie, in cui la frattura del mondo del lavoro per linee nazionali è l’elemento centrale.

Non a caso in questi anni noi di Rifondazione Comunista abbiamo detto e ripetuto che di fronte ad un capitale che si globalizza, una proposta comunista, di sinistra, deve porsi l’obiettivo di un controllo del capitale al livello a cui questo si è strutturato, cioè almeno a livello continentale. Per controllare il capitale non basta volerlo fare, bisogna anche avere il potere di farlo e questo non è oggi agibile con efficacia dal solo livello nazionale. Per questo chi pensa di poter controllare oggi il capitale globalizzato a partire dalla dimensione nazionale, al di là delle buone intenzioni, non indica una scorciatoia ma una strada che porta da una altra parte, in cui il capitale continua a scorrazzare indisturbato e privo di controllo mentre la forza lavoro viene ulteriormente frammentata per linee nazionali.

Ovviamente il governo conservatore inglese ci mette del suo essendo composto da reazionari, ma questo non toglie che il tema del potere effettivo degli stati nazionali di poter controllare il capitale globalizzato, è un tema che non può essere aggirato come se si trattasse solo di una questione di volontà politica. Marx ci ha insegnato non solo che esiste il nodo del potere ma anche che la trasformazione sociale, il comunismo è lo sviluppo dialettico delle contraddizioni del capitalismo, non un impossibile ritorno al passato che non ha più i presupposti materiali della sua esistenza.

Di questo ci chiama a ragionare la Brexit: di come si costruisce l’unità dei lavoratori e delle lavoratrici con l’obiettivo di un controllo democratico sull’economia che sia in grado di esercitare un potere effettivo sul capitale così come oggi è strutturato. Per questo pensiamo sia necessario rimettere al centro la costruzione del conflitto e della coscienza di classe, del basso contro l’alto: quella che i compagni e le compagne di Occupy Wall Street hanno definito il 99% contro l’1%. Ricostruire il conflitto di classe dal basso, contro le politiche neoliberiste italiane ed europee, è la condizione per poter costruire una unità dei popoli che possa rovesciare questa Europa come un calzino.

Per questo occorre porre al centro la disobbedienza ai trattati e la pratica di politiche che escano dall’austerità e dal neoliberismo: questa Europa va scardinata non per linee nazionali ma per linee di classe, di contestazione attiva delle politiche neoliberiste sostituendole con politiche egalitarie di giustizia sociale. Questo per costruire una terza via di sinistra contro le due destre: quella tecnocratica della globalizzazione neoliberista e quella reazionaria del nazionalismo variamente neoliberista. Per questo penso che la contraddizione fondamentale su cui far leva per uscire dalla barbarie è la contraddizione di classe e non la contraddizione nazionale, per questo il nemico sono i trattati e le politiche neoliberiste, le multinazionali e le banche. Si tratta di aiutare la nostra gente a capire che i nostri nemici non sono i migranti che fuggono dalla fame o dalle guerre ma i ricchi che si arricchiscono sulle nostre spalle e fomentano la guerra tra i poveri. Si tratta di un lavoro difficile, che chiede tutta la nostra determinazione, la nostra intelligenza e la nostra fantasia, un lavoro che purtroppo non ha facili scorciatoie.

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