Macché Senato delle Autonomie. Semmai Ginnasio delle Autonomie. I nuovi senatori, se il referendum confermerà la riforma della Costituzione, potrebbero essere infatti anche in età universitaria, se non addirittura scolare. Il paradosso metterà a dura prova filologia e etimologia della possibile Camera alta. Perché invece dall’altra parte, a Montecitorio, resterà l’obbligo di avere almeno 25 anni per poter essere eletti come deputati. Così, “anche ciò che era rimasto come flebile collegamento con l’originario significato semantico del termine ‘Senato’ (ovvero ‘Camera degli anziani’) verrebbe superato ed anzi rovesciato” scrive chi mette in rilievo questo piccolo salto logico, tra i tanti nei della riforma costituzionale. E’ il costituzionalista Emanuele Rossi, che mette in evidenza questo aspetto in un passaggio di Una nuova Costituzione migliore?, un’analisi della legge Boschi, che aspetta il vaglio del voto popolare del 4 dicembre.

Il libro, edito da Pisa University Press, è un’analisi scientifica della riforma, quasi un’autopsia effettuata da un giurista che – già nel prologo – dichiara di non voler sposare una linea (per il sì e per il no) e effettuare solo un esame “con un linguaggio semplice ma rigoroso”, per analizzare “punti di forza e di debolezza, le scelte opportune e gli errori commessi”. Rossi insegna Diritto costituzionale alla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, ha insegnato a Trento, Pisa e alla Cattolica di Milano e tra gli altri incarichi ha lavorato anche come assistente di studio alla Corte Costituzionale.

I deputati più vecchi dei senatori
Quella di Rossi è un’operazione di “sezionamento” quasi da laboratorio della riforma e quindi si sofferma anche sulla composizione del nuovo Senato attraverso i consigli regionali. La legge Boschi, ricorda il costituzionalista, abroga l’articolo 58 della Carta attuale che dice che i senatori sono eletti a suffragio universale, prevede che può votare per il Senato chi ha almeno 25 anni e soprattutto che si può candidare all’assemblea di Palazzo Madama chi ha almeno 40 anni. In contemporanea la riforma modifica l’articolo 57 della Costituzione che, nella nuova versione, taglia il numero dei senatori da 315 a 95 che sono rappresentanti “delle istituzioni territoriali”, cioè consiglieri regionali e sindaci. In particolare ogni consiglio dovrà eleggere un sindaco mentre gli altri saranno consiglieri.

E le leggi elettorali che regolano l’elezione a sindaco e a consigliere regionale – lo sanno tutti – non prevedono limiti d’età: ci si può candidare appena si è maggiorenni. Nel frattempo, invece, l’articolo 56 della Costituzione – che regola la composizione della Camera dei deputati – resterà intonso: quindi per candidarsi resterà il requisito del compimento del 25esimo anno d’età. I deputati, insomma, potranno essere più vecchi dei senatori, che come sa chi ha fatto il Classico vuol dire “più vecchi”.

Senatori e sindaci, una miscela “incoerente”
Sempre sulla composizione del Senato possibile venturo e dalla sua origine dai consigli regionali, Rossi ricorda le varie posizioni dei giuristi sulla composizione mista del possibile nuovo Senato (consiglieri più sindaci), che sarebbe – ha scritto tra gli altri Sandro Staiano – un “fattore di irrazionale disomogeneità” perché consiglieri e sindaci avrebbero interessi in contrasto e di sicuro, in “irragionevole contrasto” con il processo di regionalizzazione per come si è svolto fin qui in Italia. In più, ha spiegato invece Andrea Pertici (in passato definito “civatiano”), la presenza dei sindaci sarebbe “non coerente” con l’obiettivo di un miglior coordinamento delle competenze tra nazionale e regionale (la modifica del Titolo V, dichiarato fallito nella sua modifica del 2001). Altri costituzionalisti, invece, come Luciano Vandelli, hanno promosso questa miscela consiglieri-sindaci per via del “radicamento storico e sociale” dei Comuni e “il valore della loro esperienza nell’attuazione delle leggi, in un rapporto direttamente prossimo ai cittadini”.

Se i sindaci li scelgono i consigli regionali
In definitiva, comunque sia, secondo Rossi, resta “poco coerente” la decisione di lasciare scegliere i sindaci ai consigli regionali. Piuttosto, ricorda il costituzionalista nel libro, questa fase poteva essere lasciata al Consiglio delle autonomie locali, la cui esistenza è prevista dall’articolo 127 della Costituzione. Rossi non lo dice apertamente, ma lasciare la scelta alle assemblee regionali anche sui sindaci rischia di voler dire che scelgono i partiti più che le autonomie. Vale di più visto che i senatori resteranno senza vincolo di mandato: è l’unica parte rimasta all’articolo 67. Senza vincolo di mandato i senatori di una Regione non hanno il dovere di votare in modo uniforme, come accade nel Bundesrat tedesco.

L’assenza di vincolo di mandato potrebbe far sì che la Camera alta segua più dinamiche politiche che non gli interessi territoriali. Insomma: un Bundesrat, sì, ma austriaco (che è un “fallimento”)

Non rappresentano la Nazione, ma eleggono il presidente
La parte che invece è stata sforbiciata di quell’articolo 67 è la parte che concedeva anche ai senatori la funzione di “rappresentare la Nazione”. Toglierla ai soli senatori, spiega il professor Rossi, ha sollevato qualche perplessità. Anche dal punto di vista pratico. I 100 senatori sono sinonimo di 100 voti che si conteranno al momento dell’elezione del presidente della Repubblica che della Nazione è il rappresentante più alto.

Lo “strano ibrido” di Palazzo Madama
Da una parte dunque il Senato creatura della riforma riprende – come dice Stefano Ceccanti – l’esigenza già espressa dall’Assemblea costituente settant’anni fa: “coniugare la rappresentanza politica con quella dei territori”. Dall’altra però il Senato rischia di organizzarsi su dinamiche politiche e non sulla provenienza territoriale. Insomma, come la definisce Giovanni Tarli Barbieri, l’assemblea di Palazzo Madama sarà “uno strano ibrido“. Tutto questo, peraltro, sarà accentuato dalle modalità di elezione dei senatori che passerà dai consigli regionali, benché su “indicazione” degli elettori nelle urne. C’era la possibilità di fermarsi e cambiare. Di questo rischio aveva avvertito per esempio anche la presidente della commissione Affari costituzionali del Senato, Anna Finocchiaro. Le sue parole erano cadute nel vuoto.

Bundesrat sì, ma austriaco (che va malino)
In sostanza, per come si formerà il possibile Senato, il Bundesrat tedesco – che ogni tanto spunta in qualche promo dei sostenitori del sì – non c’entra nulla. Semmai, ricorda Emanuele Rossi, c’entra un Bundesrat, sì, ma quello austriaco, “che – conclude Rossi – non ha certo dato una buona prova di sé ed anzi è stato definito da qualcuno, senza mezzi termini, un fallimento“.

 

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