Più l’Ilva produce, più inquina e più a Taranto si muore. Ma non solo di tumore. Quella contenuta nello studio presentato dal Governatore della Puglia Michele Emiliano, intenzionato a chiedere la revoca della facoltà d’uso degli impianti dell’area a caldo della fabbrica ionica, è una conferma. I dati contenuti nelle 93 pagine, infatti, ripercorrono i risultati già descritti dagli scienziati nello studio Sentieri e nella perizia epidemiologica che il 26 luglio 2012 contribuì al sequestro senza facoltà d’uso degli impianti firmato dal gip Patrizia Todisco. La novità, però, è legata al nesso di causalità tra le emissioni non di inquinanti in generale, ma di quelle prodotte direttamente dall’Ilva. E in particolare agli effetti di questi negli anni successivi al sequestro dell’area a caldo.

Per i tarantini, purtroppo, l’inquinamento dell’Ilva causa anche malattie cardiovascolari, neurologiche e renali. E a differenza dei tumori, che possono manifestarsi a distanza di molti anni rispetto al periodo di esposizione agli inquinanti, alcuni eventi come l’infarto avrebbero un tempo di manifestazione decisamente più basso. “Lo studio attesta una relazione tra contaminazione ambientale di origine industriale e salute della popolazione residente nell’area di Taranto” e in particolare “per le malattie cardiorespiratorie tale relazione si manifesta con una latenza temporale breve”. Questo significa che “ad una diminuzione della concentrazione ambientale delle sostanze inquinanti consegue un guadagno immediato per la salute”.

Tradotto in termini più comprensibili vuol dire che se l’Ilva non emettesse inquinanti si ridurrebbe immediatamente il numero di infarti e non solo. Ma l’emissione di inquinanti, come già detto, è legata strettamente alla produzione. E forse non solo a quella. Perché la diffusione incontrollata di polveri provenienti dal parco minerale, ad esempio, non ha nulla a che fare con la produzione: i parchi minerali sono ancora a cielo aperto e quindi nelle case e nelle vite degli abitanti dei quartieri più vicini allo stabilimento continua a essere drammaticamente a rischio. E arriverebbe anche se l’Ilva bloccasse la produzione. Le montagne di minerale di ferro e carbone sono ancora lì, esposte al vento che dalla fabbrica porta le polveri verso la città.

Eppure il Governo, con i suoi decreti, ha permesso all’Ilva di rimandare continuamente la copertura dei parchi. Da Monti a Renzi la copertura dei parchi minerali non è mai stata imposta con tempi certi. Anzi. Le misure adottate sono state oggettivamente risibili: una barriera antivento e la riduzione del cumulo. Praticamente la stessa soluzione che Fabio Riva riuscì a rifilare alla commissione ministeriale finita nell’inchiesta “Ambiente svenduto”. Per anni Giorgio Assennato, ex direttore generale di Arpa Puglia, ha sostenuto che la copertura è l’unico strumento idoneo per garantire una drastica riduzione delle polveri, ma ancora oggi il Governo continua a far finta di niente. Perché la copertura dei parchi è la misura più costosa tra quelle ritenute dagli esperti necessarie per l’ambientalizzazione della fabbrica. E fino a quando quelle polveri potranno essere portate a spasso dal vento è forse inutile stupirsi dei risultati delle varie perizie che negli si susseguiranno.

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