Che l’affidamento condiviso in Italia siano un grande inganno ed una farsa, lo svela ogni anno la casistica. La stragrande maggioranza degli affidamenti dei figli, a seguito dell’interruzione del rapporto di coppia dei genitori, vede l’applicazione di questa prassi giurisprudenziale, mai codificata dal legislatore (il quale ha inteso invece proprio garantire la condivisione della genitorialità e non l’emarginazione di un genitore in favore dell’altro): figli “collocati” dalla madre (perché la Cassazione prima velatamente ed ora apertamente ci consegna il principio della maternal preference, sez. I, 14 settembre 2016, n. 18087); padre confinato al 15% della “frequentazione” (così definita dai giudici, proprio per descrivere il padre alla stregua di un visitatore occasionale, un estraneo); padre elargitore di denaro, mensilmente a babbo morto (termine perfetto nella specie) senza alcuna rendicontazione, e a seconda del tribunale e dell’umore del collegio (dal 25% del reddito sino a punte dell’80%, roba che neanche alla lotteria di Capodanno); padre con frequentazione in balia degli eventi e delle bizze della madre (febbri improvvise, imprevisti pronto uso, eventi sportivi, sociali etc.).

Alla faccia dei tanti declamati e codificati principi della bigenitorialità, della pari genitorialità, della continuità, del mantenimento diretto etc. Sì, formalmente esistono, certo. Ma sostanzialmente son carta straccia. Diritti fondamentali che in Italia son carta straccia. Nella stragrande maggioranza dei Paesi occidentali e civili no. Non esiste alcuna preference ed entrambi i genitori meritano e godono di tempi paritetici con i figli.

Non è certo un caso che la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo continui costantemente a condannare l’Italia per la violazione dell’art. 8 Cedu a fronte della incapacità di questo nostro paese retrogrado di tutelare i rapporti tra genitore (tranne qualche eccezione sempre padre) e figli [ancora da ultimo, tra le decine di pronunce: Strumia c. Italia (n. 53377/13) 23.6.2016, un caso inerente l’interruzione del rapporto tra un padre e la figlia durato 8 anni, a seguito di false denunce della madre per abusi sulla minore e un caso abnorme di alienazione parentale; S.H. c. Italia (n. 52557/13) 13.10.2015, un caso inerente l’intervenuta adottabilità del figlio in danno della madre].

In questi giorni è iniziato l’esame di diversi disegni di legge volti a ridisegnare un istituto, quello dell’affidamento condiviso, menomato dalle corti italiane. Una materia delicatissima in cui il legislatore dispone in un modo e la magistratura interpreta a modo suo. Un campo in cui è assai difficile distinguere il confine tra discrezionalità ed arbitrarietà. E in questo confine si consumano, come candele, i diritti fondamentali delle persone. Di migliaia di persone, ogni anno.

Un campo in cui giocano una partita decisiva le interpretazioni, i tempi processuali (sempre lunghi), la faziosità, l’abuso delle consulenze tecniche d’ufficio, poteri illimitati dei servizi sociali, l’eccessiva partigianeria dei consulenti di parte, a volte anche l’incapacità degli avvocati.

Tra questi disegni di legge vi è pure quello di ADIANTUM, il cui presidente, il prof. Giacomo Rotoli, lo ritiene “centrato esclusivamente sulla figura del minore, al quale finalmente verrebbe attribuita autonoma tutela giuridica per mezzo del nuovo istituto dell’avvocato del minore. Inoltre, con questo disegno di legge intendiamo far introdurre sia l’obbligatorietà del c.d. Piano Familiare, sia quella della mediazione preventiva. Speriamo che, dopo dieci anni, nessuno più si ponga a capo di interessi privati e faccia inutile ostruzionismo”. L’avvocato del minore, secondo l’associazione, deve intervenire in ogni procedimento di separazione e divorzio che coinvolge i non maggiorenni, con l’obiettivo di tutelare i figli dalle azioni dei genitori, troppo protesi “ad affermare le proprie ragioni individuali all’interno di un sistema giuridico che privilegia smaccatamente la conflittualità”. Invero, “durante le fasi più cruente della separazione, ed anche in seguito, il minore è senza tutela effettiva, in balia di esigenze che appartengono al mondo degli adulti. In quei momenti così dolorosi, la voce dei bambini rimane totalmente inascoltata, e ciò è una diretta conseguenza di un ordinamento che, ancora oggi, non favorisce una vera e propria presa di responsabilità da parte dei genitori”.

Le altre proposte del ddl attengono alla obbligatorietà della mediazione familiare come condizione di procedibilità, obbligatorietà di presentazione del cosiddetto Piano Familiare, tutela legale autonoma del minore a carico dello Stato, obbligo di audizione del minore che abbia compiuto 12 anni (per assicurare un’autonoma tutela ad un soggetto che è giuridicamente incapace), l’introduzione dell’obbligo di rendicontazione delle spese a carico del coniuge che percepisce l’assegno alimentare per i figli.

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