Di lavoro facevano la lotta al bracconaggio, ma oggi i guardiacaccia provinciali sono diventati anche loro una specie in via di estinzione. E così, mentre negli ultimi due anni si è passati da 2500 a 2000 agenti, con un calo del 20%, il Wwf calcola che solo tra il 2014 e il 2015 l’uccisione illegale di animali sia aumentata di oltre il 40%. Risultato di sanzioni effettive troppo leggere, ma anche di una carenza sempre maggiore di controlli per effetto di una riforma delle Province applicata in maniera pasticciata.

Agenti scomparsi – La riforma, infatti, ha dimezzato le spese per il personale delle Province senza porsi il problema di quali sarebbero stati gli effetti in ambiti come la vigilanza sulla caccia. Così, l’emorragia, spiega il presidente dell’Associazione italiana delle polizie provinciali Augusto Atturo, si è innescata per una serie di fattori, “tra mobilità di agenti e ufficiali dichiarati in soprannumero dopo i tagli, tra l’altro con modalità a casaccio da una regione all’altra, i ritardi nelle convenzioni con le Regioni che hanno riassorbito la materia della gestione faunistica dopo la legge Delrio del 2014, nonché il blocco del turn-over”. La Puglia, per esempio, ha fatto transitare nella propria pianta organica gli agenti della polizia provinciale, che ad oggi, però, aspettano ancora gli atti ufficiali dell’amministrazione regionale per poter diventare operativi. A Terni, invece, dei 10 uomini attuali potrebbe non rimanerne nessuno, mentre a la Spezia se ne contano appena tre. “Uno dei pochi casi virtuosi è il Friuli Venezia Giulia, che grazie all’autonomia di cui gode ha fatto confluire gli agenti provinciali del Corpo forestale regionale, potenziandolo”, dice il presidente della Lipu Fulvio Mamone Capria. Ma proprio dai forestali, a livello nazionale, arriva l’altro elemento di preoccupazione: “Noi avevamo proposto che il modello Friuli fosse applicato a livello nazionale, e invece il governo ha abolito il Corpo forestale dello stato. Dal 1° gennaio 2017 i circa 7mila uomini confluiranno nell’arma dei carabinieri, con effetti sicuramente negativi sulla vigilanza”, aggiunge Mamone Capria. Tutto questo mentre l’Italia è oggetto di una procedura di pre-infrazione da parte della Commissione europea per il controllo inadeguato del bracconaggio e del traffico di specie protette.

Terra di nessuno per la fauna selvatica – Un fenomeno, quello della caccia abusiva, che non accenna a diminuire. Nel suo dossier #FurtodiNatura, il Wwf ha individuato in Italia ben 27 aree a rischio, più di una per regione. “Per la fauna selvatica, l’Italia, continua ad essere terra di nessuno e il bracconaggio, un termine ancora non codificato da leggi e norme, che colpisce 8 milioni di uccelli ogni anno: tra questi ci sono aquile, cicogne, falchi, e specie rarissime, come l’ibis eremita, alle quali l’Europa dedica progetti di conservazione”, spiegano dall’associazione del panda. Tra le aree in emergenza bracconaggio ci sono le Valli bresciane, patria degli irriducibili della caccia ai passeriformi. Qui “tra il 1996 e il 2015 sono stati denunciati 1.152 bracconieri, sequestrati 800 fucili, 1.498 cartucce, 4 candelotti di dinamite, 389 richiami acustici e 3 smartphone usati per attirare gli uccelli con richiami artificiali. In circa 20 anni di sorveglianza 888 verbali amministrativi elevati per un ammontare di 233.300 euro in sanzioni”. Ma le storie di violenza arrivano da ogni parte d’Italia: “Nelle isole di Ischia e Procida si aspetta il periodo di migrazione per sparare a milioni di piccoli uccelli, nelle isole Pontine si spara ai delfini, lungo l’Appennino tosco-emiliano i fucili sono contro lupi e rapaci, catturati o uccisi anche da trappole o bocconi avvelenati, lo stesso accade nel Sulcis, in Sardegna, ai danni dei cervi e passeriformi; nello Stretto di Messina, attraversato ogni anno da 30-45mila uccelli migratori, non è stata ancora debellata completamente l’uccisione illegale di rapaci, cicogne, gru; lungo le coste sarde e nel Canale di Sicilia si pesca illegalmente il pesce spada”.

Valore natura – In questo quadro, fa notare Mamone Capria, “è ingiusto e insensato pensare di demandare parte della vigilanza al volontariato”. Non solo per i piccoli numeri – la Lipu, per esempio, può contare in tutto su un centinaio di volontari impegnati nella lotta al bracconaggio, il Wwf ha una cinquantina di nuclei di guardie volontarie – ma soprattutto perché “i volontari non hanno funzioni di polizia giudiziaria. Quindi anche dopo aver scoperto degli illeciti, non possono procedere al sequestro delle armi o degli animali uccisi illegalmente”. Allo stesso tempo, il sistema delle sanzioni non basta a fermare l’assalto alla fauna: sulla carta si prevedono l’arresto fino a un anno e multe che possono superare i 6 mila euro. Nella realtà, però, spiegano dal Wwf, “chi uccide un esemplare rischia spesso una semplice contravvenzione e raramente finisce in carcere”.

Tra l’1 e il 2 ottobre, la Lipu organizza 45 iniziative in riserve e parchi in tutta la penisola. Il Wwf, lo stesso 2 ottobre, aprirà gratuitamente al pubblico le oltre 100 Oasi che gestisce. Iniziative con lo scopo di richiamare l’attenzione anche sul grande valore ecologico ed economico degli ambienti naturali, che il bracconaggio mette costantemente a rischio: “Negli Stati Uniti, per esempio, il giro di affari intorno a viaggi e attrezzature per il bird-watching è di 41 miliardi di dollari, in British Columbia la spesa pro-capite per osservare gli orsi è di 1.120 dollari”, spiegano dal Wwf. “Se si stima che in Italia i soli appassionati di bird-watching sono decine di migliaia, si può dedurre l’enorme danno che può produrre l’abbattimento di animali, come cicogne o fenicotteri o delle migliaia di rapaci”.

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