Scontro frontale sulla Siria, Stati Uniti contro Russia. Il segretario di Stato americano John Kerry aveva già avvertito Mosca e oggi lo ribadisce. “Siamo in procinto di sospendere la discussione” con la Russia, ha detto, sul tentativo di applicare un accordo di cessate il fuoco su Aleppo – che a est è controllata da insorti delle opposizioni, sostenuti in maniera discontinua dai Paesi arabi del Golfo e che Mosca vuole sconfiggere – per mettere fine alla violenza in Siria. Alla base c’è la scelta del Cremlino di ignorare il processo di pace e di sostenere la volontà di Assad di imporsi militarmente. Gli Usa, quindi, devono “cercare altre alternative” perché “è irrazionale nel contesto del tipo di bombardamenti in atto stare seduti lì tentando di prendere le cose seriamente”. E nelle scorse ore un portavoce del Dipartimento di Stato Usa ha fatto sapere che gli Stati Uniti hanno discusso e stanno valutando anche “opzioni non diplomatiche”.

Parole pronunciate nel giorno in cui Justin Forsyth, vice direttore generale dell’Unicef, fa sapere che ad Aleppo est i bambini sono “intrappolati”: da venerdì 96 sono stati uccisi e 223 feriti dai bombardamenti governativi e russi. In più il capo delle operazioni umanitarie dell’Onu, Stephen O’Brien, parlando in videoconferenza al Consiglio di Sicurezza, ha ricordato che da quando è terminata la tregua concordata tra Usa e Russia il 22 settembre scorso, sono stati uccisi 320 civili, tra cui 100 bambini. I feriti sono 765. Drammatica la situazione ad Aleppo est, finita “nel baratro spietato della catastrofe umanitaria”.

Ma il Cremlino non intende piegarsi davanti all’avvertimento di Washington. La dichiarazione del portavoce del dipartimento di Stato americano viene ritenuta “abbastanza goffa” e bollata come “retorica non costruttiva” perché Washington deve attuare quanto si era impegnata a fare, ovvero garantire la divisione chiara fra opposizione e terroristi. “Gli Stati Uniti si sono dimostrati finora incapaci di influenzare la situazione ad Aleppo. In queste condizioni, le forze siriane continuano a combattere contro i terroristi“, ha dichiarato il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov, ricordando che le forze aeree russe proseguono le loro operazioni di sostegno alle attività antiterrorismo siriane. Gli accordi fra i presidenti di Russia e Stati Uniti, ha aggiunto, non prevedono la rinuncia ai principi dell’anti terrorismo.

E l’attacco degli Usa alla Russia prosegue anche in sede Onu, dove l’ambasciatrice degli Stati Uniti Samantha Power ha attaccato la strategia di Mosca. “Ciò che il regime del presidente siriano Bashar Assad e la Russia stanno facendo ad Aleppo è sconvolgente per le nostre anime – ha detto -. Non è solo seminare rovina in questo Paese ma anche creare più flussi di profughi, più radicalizzazione. Stanno facendo un regalo all’Isil (Stato islamico, ndr) e al Fronte Nusra, i gruppi che dicono di voler fermare”. A margine del Consiglio di Sicurezza è intervenuto anche l’ambasciatore siriano all’Onu, Bashar al Jafaari, che ha attaccato l’Occidente. “Non abbiamo bisogno di assistenza umanitaria, abbiamo bisogno che finisca la guerra terroristica contro di noi. I paesi occidentali – ha precisato – sono isterici e organizzano riunioni ogni giorno cercando di ingannare l’opinione pubblica su ciò che sta succedendo in Siria“.

L’intervento russo in Siria – Avviato un anno fa come parte della “guerra al terrorismo” contro i jihadisti dell’Isis, l’intervento militare diretto russo in Siria ha sin da subito mostrato i suoi obiettivi: rafforzare la presenza russa nel Mediterraneo orientale, favorendo il contestato presidente siriano Bashar al Assad appoggiato anche dall’Iran. Secondo Fabrice Balanche, studioso di dinamiche siriane e ricercatore all’Istituto per il Vicino Oriente di Washington, la Russia sa bene che per raggiungere il suo obiettivo “deve prima di tutto assicurarsi una vittoria militare sul terreno”.

Gran parte di questa tattica comprende sconfiggere ogni resistenza ad Aleppo est, la parte della città che è controllata da insorti delle opposizioni, sostenuti in maniera discontinua dai Paesi arabi del Golfo. La campagna russa su Aleppo a molti osservatori ha ricordato quella su Grozny, in Cecenia, nel 1999. “Aleppo come Grozny” titolava qualche giorno fa il quotidiano libanese francofono L’Orient-Le Jour. “L’approccio ceceno alla guerra in Siria ha finito per radicalizzare i miliziani delle opposizioni e ha favorito lo Stato islamico e i gruppi qaedisti“, scriveva sul quotidiano panarabo Sharq Awsat l’editorialista Abderrahman Rashed.

La campagna russa in Siria ha inoltre mietuto in un anno più vittime di quelle causate dallo Stato islamico in tre anni. Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani, dal 30 settembre 2015 al 20 agosto scorso sono state uccise dai raid russi 8.139 persone, di cui 3.089 civili. Tra questi ci sono 746 minori tra neonati e adolescenti, e 514 donne. L’Isis invece dal 9 aprile 2013 al luglio scorso, secondo la stessa fonte ha ucciso 2.686 civili, di cui 368 minori e 323 donne.

Nonostante nel marzo scorso il presidente Putin avesse annunciato un “ritiro parziale” delle truppe russe dalla Siria, negli ultimi sei mesi la campagna militare ha segnato successi sul terreno cruciali per gli obiettivi militari e propagandistici di Mosca. Oltre a stringere d’assedio Aleppo est, i soldati russi hanno contribuito in maniera determinante a conquistare Palmira, la città nella Siria centrale sede del famoso sito d’epoca romana danneggiato prima dai carri armati del regime e poi dalle esplosioni dell’Isis, che aveva a lungo tenuto in pugno la città.

Allo stesso tempo, Mosca è stata accusata da organizzazioni umanitarie internazionali come Human Rights Watch (Hrw) e Amnesty International di colpire deliberatamente ospedali e strutture mediche, anche in zone lontane dall’Isis, come Idlib e Aleppo est. Gli stessi media russi e governativi siriani citano a loro volta i rapporti di Amnesty e Hrw quando questi denunciano violazioni da parte dei nemici di Mosca e Damasco.

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