Il referendum anti-frontalieri è passato a larga maggioranza. Gli elettori del Canton Ticino hanno votato per il 58% a favore di “Prima i nostri!”, la proposta di modifica della Costituzione cantonale avanzata dall’Udc e sostenuta dalla Lega dei Ticinesi, 39,7% i no e 2,3% le astensioni. Di segno opposto il voto sul controprogetto proposto dal Gran Consiglio (il parlamentino cantonale) che registra un 57,4% di bocciature, 36,6% di consensi e 6% di astenuti. Si tratta di un risultato il cui valore travalica i confini elvetici: e non a caso è arrivata, tra le altre, anche la reazione del ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, che ha prospettato il rischio di una ripercussione degli esiti del referendum sui rapporti tra Svizzera e Unione europea.

Il testo sottoposto agli elettori è molto articolato, ma può essere facilmente riassunto nella volontà di introdurre modifiche di legge in grado di privilegiare i cittadini svizzeri nel mercato del lavoro, esposto da tempo ad una pressante offerta straniera, specialmente italiana. Sono infatti più di 60mila i lavoratori (soprattutto lombardi e in misura minore piemontesi) che quotidianamente varcano il confine con la Confederazione per recarsi al lavoro, attratti da stipendi mediamente più alti.

Il Ticino è uno dei cantoni svizzeri dove si è registrato un maggior numero di voti favorevoli al referendum del 9 febbraio 2014 con il quale gli svizzeri hanno approvato l’imposizione di quote massime di lavoratori stranieri nella Confederazione elvetica. Nel cantone di lingua italiana i “sì” furono oltre il 68%. Quella consultazione è rimasta finora lettera morta. A premere sul freno è stata l’Ue che fino ad oggi non ha voluto concedere alla Svizzera nessuna deroga ai principi di libera circolazione, cui Berna ha aderito (malgrado non sia paese membro dell’Unione). I promotori dell’iniziativa “Prima i nostri” hanno voluto ribadire con il sostegno del voto popolare le ragioni dei ticinesi, forzando la mano sulla legge cantonale. Questa dovrà comunque passare al vaglio della legge federale e difficilmente potrà essere applicata in quanto in palese contrasto con gli accordi internazionali e le leggi della Confederazione.

In particolare il testo approvato dai ticinesi prevede che “sul mercato del lavoro venga privilegiato a pari qualifiche professionali chi vive sul suo territorio per rapporto a chi proviene dall’estero (attuazione del principio di preferenza agli Svizzeri)”. Inoltre si chiede che “nessun cittadino del suo territorio venga licenziato a seguito di una decisione discriminatoria di sostituzione della manodopera indigena con quella straniera (effetto di sostituzione) oppure debba accettare sensibili riduzioni di salario a causa dell’afflusso indiscriminato della manodopera estera (dumping salariale)”, mentre “nelle relazioni con i Paesi limitrofi” le autorità dovrebbero modulare “il mercato del lavoro in base alle necessità di chi vive sul territorio del Cantone”.

È stata invece bocciata l’altra iniziativa cantonale “Basta con il dumping salariale in Ticino!”, respinta dal 52,4% dei votanti. Accolto invece il controprogetto sullo stesso tema, che ha raccolto il 55% di voti favorevoli. Per quanto riguarda i temi federali su cui sono stati chiamati a votare tutti gli svizzeri, sono state bocciate le iniziative “Per un’economia verde” e quella per l’aumento delle pensioni. I cittadini della confederazione hanno invece approvato la Legge sulle attività informative, per una maggiore trasparenza sulle attività d’intelligence.

Le reazioni dei vincitori non potevano che essere trionfalistiche. Piero Marchesi, presidente dell’Udc ticinese, parla di una “Vittoria incredibile”, un “segnale per Berna, affinché le decisioni popolari non vengano ignorate”. I sostenitori della controproposta parlano invece di un calo dei consensi delle forze populiste: “Le persone sono stufe di votare progetti che non portano a nulla”, ha detto Alex Farinelli del Plr. Sul versante italiano la reazione di maggior peso è quella di Paolo Gentiloni. Il ministro degli Esteri ha commentato su Twitter il risultato della consultazione popolare, sottolineando la gravità di una eventuale limitazione della libertà di circolazione. Prospettiva che, se dovesse avverarsi, metterebbe “a rischio” i rapporti tra la Svizzera e il resto dell’Unione europea.

 

Prima di Gentiloni, era intervenuta anche l’europarlamentare Lara Comi (Forza Italia), definendo l’esito del voto un “capolavoro di irresponsabilità” e difendendo a spada tratta i lavoratori italiani: “E’ inaccettabile il trattamento riservato oggi ai nostri connazionali: è ampiamente finito il tempo in cui gli italiani, come dopo la Seconda Guerra Mondiale in Belgio, erano considerati poco più che bestie da lavoro”.

La Comi, che è anche vice-presidente del Partito Popolare Europeo, ha scritto al commissario Marianne Thyssen, responsabile per l’occupazione, affari sociali, competenze e mobilità dei lavoratori dell’Unione Europea per chiederle un incontro: “Le chiederò di avviare urgentemente la sospensione di tutti gli accordi ad oggi in essere tra Svizzera ed Europa. Ricordiamo a chi ha voluto perseguire solo la propaganda e non la realtà che l’Europa è il principale partner commerciale dell’economia svizzera: un impiego su tre dipende dagli scambi con l’Unione Europea, con la libertà per le imprese svizzere di reclutare in Europa la manodopera specializzata che non riescono a trovare in casa, peraltro in tutti i settori per loro strategici: sanità, industria, turismo, servizi e tecnologie. Al Governo italiano chiediamo infine l’immediata definizione di aree tax free nelle zone di confine con la Svizzera: occorre favorire il rientro e la nascita di nuove aziende che potranno così assumere Italiani”.

L’Italia si trova in realtà in una posizione scomoda. La prospettiva suggerita dalla Comi di una sospensione dei trattati internazionali in essere con la Svizzera, farebbe probabilmente più male che bene al nostro Paese. Lo ha spiegato bene l’ambasciatore italiano a Berna Marco Del Panta in un intervento su Affarinternazionali.it pubblicato alla vigilia del voto, in cui ha spiegato che “le relazioni bilaterali sono troppo importanti: con un interscambio di circa 30 miliardi (e un saldo in attivo) la Svizzera conta per noi quasi quanto la Cina”. Senza dimenticare che in Svizzera vivono circa 600mila italiani e che tra l’Italia e la Svizzera c’è una lunga frontiera che rappresenta una delle porte verso il nord e il mercato unico. Una frattura con la Confederazione potrebbe inficiare anche i vantaggi derivanti dalla recente apertura della galleria di base del San Gottardo che accorcia i tempi di percorrenza verso l’Europa centrale e settentrionale, che non potrebbe essere ben sfruttata se, ad esempio “dovesse decadere l’accordo Ue-Svizzera sul trasporto merci e passeggeri su strada e ferrovia”.

@alemadron

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