Premesso che nutrivo simpatia e una qualche fiducia verso Virginia Raggi, prima che evidenziasse un Dna politico assai meno movimentista indignato che non da praticante legale in studi al servizio del rampantismo destrorso/qualunquista. Aggiungo che non nutro simpatia alcuna per Giovanni Malagò (un tempo “Melagodo”), che considero tipica espressione del generone “dolcevitaro” capitolino. Concludo precisando che considero i giochi olimpici una grave minaccia finanziaria potenziale per sedi ospitanti e una mega manifestazione ormai ridotta a baraccone mediatico, la cui credibilità è definitivamente annegata nel gorgo della chimica dopante. Ciò detto, vorrei far seguire due considerazioni relative ai recentissimi fatti romani, sul merito e sul metodo.

In tutta Europa il rilancio di città in crisi ha trovato una leva importante in grandi eventi che fungevano – al tempo – da canalizzazione di finanziamenti e da medium per la civica reputazione. Il rilancio di Glasgow nell’uscita dalla cosiddetta “afflizione post-fordista” (la crisi da de-industrializzazione) prende avvio nel 1990 dall’essere stata capitale europea della cultura. Gli studiosi di territorio fanno decollare la rinascita di Barcellona dall’Olimpiade 1992, in coincidenza con il varo del suo celebre Piano Strategico. Se andiamo a vedere, gli ultimi “grandi eventi” internazionali ospitati dall’Italia – Bologna (2000) e Genova (2004) capitali europee della cultura – sono stati dei clamorosi flop per l’incapacità gestionali evidenziate dalle amministrazioni locali. Insomma, se queste manifestazioni hanno un esito positivo o negativo, è “il manico” a risultare sempre responsabile.

Il diniego del governo Monti per la candidatura di Roma olimpica 2020 e ora della Raggi per Roma 2024 suonano come palese ammissione della propria inadeguatezza, gestionale e di governo. Un minimalismo rinunciatario che non induce a confidare in chi nutre così poca fiducia nei propri stessi mezzi.

Per quanto riguarda il metodo, è comunque risultato sgradevole – da parte della sindaca – il ripristino del modello scortese/irridente già praticato dalla (pur odiata) Lombardi; nella parte del trucido di periferia durante gli streaming con Bersani.

Un ostentato disprezzo dell’interlocutore, tra l’altro fatto attendere oltre il lecito all’appuntamento ufficiale concordato, che suona a debolezza (evitare il confronto) gabellata per tracotanza. Sgarbo istituzionale certamente a uso del proprio audience interno, da ricompattare visti gli stridii e gli scricchiolii delle passate settimane. Con lo scalpo del Malagò come diversivo per gli organigrammi non ancora completati e la scelta di collaboratori dalla provenienza imbarazzante.

Sicché – alla fin fine – l’intera vicenda sembra ridursi ancora una volta a giochi di aggiustamenti interni al Movimento. Un messaggio che dice: io accetto di sottostare al controllo sulle scelte politiche del Comune (no alle Olimpiadi romane) ma non tollero intromissioni nella costruzione del mio entourage; composto esclusivamente da fedeli, cavalieri serventi e qualche ingaggio proveniente da ambienti giudicati sintonici, come il milieu alemanniano.

Insomma, quanto emerge in questo gioco di mosse e contromosse, di comunicazioni strumentali e patti di sangue segreti, ancora una volta non sembra proprio il modo migliore per dare una svolta effettiva alla vicenda romana; l’investimento ottimale per candidarsi alla guida del Paese. Sarà interessante vedere come reagirà a tale baraccone una persona seria come l’assessore all’Urbanistica Paolo Berdini, segnalato in crescente sofferenza per lo spettacolo cui sta assistendo.

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