Secondo il sondaggio commissionato dal TgLa7 all’Emg di Fabrizio Masia in una settimana il Sì al referendum costituzionale sarebbe passato dal 28,5% al 30,1%, il No dal 30,8% al 34,1% e gli indecisi sarebbero calati al 35,8% e cioè sarebbero scesi di quasi 5 punti. Difficile individuare con certezza le ragioni di un andamento che andrebbe oltre le più rosee aspettative di quelli che, pur con un tasso di credibilità, di coerenza e di impegno non omologabile (vedi i “ravveduti” di FI), si stanno battendo perché, per dirla con la bella immagine di Paolo Prodi, “il bitorzolo” della riforma Boschi non deturpi la Costituzione.

Può aver contribuito a sollecitare per il No un bel numero di indecisi anche l’effetto boomerang dell’uscita dell’ambasciatore americano che deve aver fatto breccia sull’orgoglio nazionale e sulla volontà di sentirsi cittadini sovrani non condizionabili dai richiami indebiti dettati da “cattiva informazione, magari da una fonte italiana non del tutto disinteressata”, come ha osservato, tra gli altri, Ugo De Siervo, presidente emerito della Consulta.

Quello che è certo è che un buon numero di elettori non sta facendo proprio lo “schema logico” di Massimo Cacciari che applica la formula della “riduzione del danno” per acconsentire a pasticciare in modo lesivo della rappresentanza democratica e foriero di una conflittualità istituzionale senza precedenti la Costituzione in vigore. Il concetto di Cacciari ribadito anche ad 8 e mezzo e condiviso dalla variegata schiera che si aggrappa al meglio cambiare comunque che rimanere all’esistente è che “la riforma tecnicamente fa schifo” ma si deve tener conto “del contesto” che impone “il male minore”. E’ abbastanza curioso che secondo un filosofo di indiscussa autorevolezza una riforma delle fondamenta istituzionali che per definizione deve “guardare lontano” ed essere presbite, come amavano dire i padri costituenti, possa essere appiattita in forza di supposte contingenze politiche e tattiche sull’immediato e rimanere appesa alle sorti della legislatura o, peggio ancora, al futuro politico di un governo che ha esorbitato dal suo ruolo e di un presidente del Consiglio che aveva gridato ai quattro venti “la riforma c’est moi”.

E probabilmente nemmeno le grandi manovre intorno all‘Italicum che da legge perfetta imposta a colpi di canguro e di fiducia ed invidiata da tutti, secondo Renzi, verrà ritoccata quel tanto che serve a disinnescare il temutissimo ballottaggio che potrebbe ancora “favorire” il M5S non devono aver impressionato favorevolmente i cittadini elettori. Infatti risulta abbastanza incomprensibile ed artificioso il rapporto con cui molti a “sinistra” condizionano l’eventuale assenso alla riforma costituzionale, che se “schifosa” rimane tale in presenza di qualsiasi legge elettorale, con le “modifiche” all’Italicum.

Ora che virtualmente si riaprono i giochi sulla legge elettorale, che la Consulta ha posticipato la pronuncia sull’Italicum e che il M5S in perfetta continuità con la precedente proposta ha presentato alla Camera la sua mozione per una legge elettorale proporzionale, con piccole circoscrizioni, senza premio di maggioranza e preferenze il mosaico delle riforme appare completo e gli elementi di valutazione per capire chi è coerente, chi dice NI e chi dice per convenienza una cosa e il suo contrario, ci sono tutti.

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