Il 14 luglio scorso aveva sorpreso tutti, dichiarando di aver nascosto la pistola già tre mesi prima della strage, all’interno del tribunale di Milano. Ora, però, Claudio Giardiello ritratta tutto. Il 57enne imprenditore di origini campane che il 9 aprile 2015 uccise tre persone e ne ferì altre due nei locali del palazzo di giustizia del capoluogo lombardo, confessa di aver mentito. E dice di averlo fatto per salvare Roberto Giuseppe Piazza, la guardia che non si sarebbe accorto dell’arma che Giardiello portava con sé il giorno del triplice delitto. La nuova versione dei fatti Giardiello l’ha rivelata ieri, durante l’interrogatorio davanti al sostituto procuratore di Brescia Isabella Samek Lodovici, che lo ha ascoltato nell’ambito del procedimento aperto per omicidio colposo che vede due guardie giurate indagate: un fascicolo secondario, aperto sempre in relazione ai fatti del 9 aprile, per far luce sulla condotta dei due agenti in servizio quella mattina ai varchi d’accesso del palazzo di giustizia di Milano. Giardiello ha spiegato in Procura di aver incontrato alcuni giorni prima dell’udienza del 14 luglio Piazza e la moglie, e di averli trovati molto tristi. Per questo avrebbe voluto spostare l’attenzione su un altro periodo.

La ritrattazione di Giardiello è avvenuta alla vigilia del deposito, da parte del Gip di Brescia Paolo Mainardi, delle 62 pagine di motivazioni della sentenza di condanna all’ergastolo nei confronti dell’imprenditore. Pagine che ribadiscono come la versione fornita dall’omicida il 14 luglio fosse ben poco attendibile. Si tratta di dichiarazioni, infatti, che “esibiscono profili di evidente vaghezza laddove l’imputato non precisa quando siano stati introdotti pistola e caricatori, non chiarisce come li abbia introdotti e non specifica dove abbia nascosto simile materiale all’interno del Palazzo di Giustizia”. Secondo il giudice Mainardi, “allo stato l’ipotesi che pistola e caricatori siano entrati proprio quel giorno all’interno del Tribunale appare più verosimile”. A supportare questa tesi, soprattutto un dettaglio: il fatto che nella casa di Giardiello, la stessa mattina del triplice omicidio, nel corso di una perquisizione fu rinvenuta la “custodia della pistola aperta”, la stessa pistola utilizzata per la strage.

Una strage che, scrive il Gip bresciano, era premeditata da lungo tempo: “l’azione sanguinaria non può essere certo circoscritta alle ore precedenti al fatto, ma si è sicuramente dispiegata in un tempo significativamente più ampio senz’altro utile a ravvisare un’idea omicidiaria salda”. Giardiello, si legge nelle carte carte, “ha scatenato una parossistica, ma non cieca né casuale furia soppressiva. Nessuno degli obiettivi colpiti con esiti letali o non, è casuale”. Il giudice riprende poi le intercettazioni ambientali in carcere nelle quali Giardiello “diceva che la sua rabbia omicida si era scatenata nel momento in cui aveva chiaro che il suo difensore non formulava le agognate domande sul bilancio 2007 da lui ritenute evidentemente decisive ai fini assolutori. Ciò gli faceva perdere la testa”. E nell’attuare i suoi propositi omicidi, l’imprenditore campano sarebbe stato coerente con le sue abitudini di scommettitore: “Giardiello era un giocatore d’azzardo – scrive il gip – e come tale si è comportato il 9 aprile 2015″. Solo così avrebbe potuto accettare di dar vita ad un’azione “che presupponeva un ineludibile coefficiente di rischio”.

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