Vi hanno detto che tra le eredità di Expo ci sarebbe stato un grande parco pubblico? Dimenticatevi tutto. Il parco più volte promesso, votato e addirittura disegnato sulle planimetrie che fino a ieri provavano a descrivere il futuro delle aree dell’esposizione universale, bene, quel parco non ci sarà più. Almeno secondo le linee guida dettate da Arexpo, la società proprietaria dei terreni che ha Comune di Milano e Regione Lombardia come soci: “Il vincolo di destinare a verde più della metà dell’area sarà certamente rispettato, ma il verde sarà diffuso, non concentrato in un unico parco”, ha annunciato l’amministratore delegato Giuseppe Bonomi, presentando alla stampa i criteri del bando per scegliere i consulenti che elaboreranno il masterplan per il post Expo.

E così – secondo le nuove intenzioni dei soci – le aree Expo nei prossimi dieci anni verranno trasformate in un “Parco della Scienza, del Sapere e dell’Innovazione”, con tanto di Human Technopole, campus universitario, imprese, residenze, eccetera eccetera. Ma il parco vero, quello fatto di alberi, non ci sarà più. Eppure fino a ieri tutti lo davano per certo. Non perché fosse un vezzo, ma perché l’accordo di programma approvato nel 2011 dagli stessi soci di Arexpo, ovvero comune di Milano e Regione Lombardia, prevedeva una “superficie a parco tematico” non inferiore al 56% della superficie totale. E per evitare che ci fossero dubbi su cosa dovesse essere il lascito verde di Expo, il consiglio comunale di Milano alla delibera di approvazione dell’accordo di programma aveva allegato una mozione in cui nero su bianco si diceva cos’era il parco: “Un’area verde unitaria, non frammentata e connessa con i corridoi ecologici circostanti”.

Quella mozione se la ricorda bene l’ex presidente del consiglio comunale Basilio Rizzo: “Il parco spezzettato di cui ora parla Bonomi non è un parco ad uso pubblico – accusa Rizzo – ma un parco a servizio delle unità immobiliari che si realizzeranno. Non si può costruire una serie di edifici e chiamare parco quello che avanza. Su questo tema non sono i soci a poter decidere, ma se hanno cambiato idea la decisione deve passare per un nuovo voto in consiglio comunale”. Rizzo si scaglia poi contro la trasformazione di Arexpo in una vera e propria “società pubblica di sviluppo immobiliare”, come l’ha definita lo stesso Bonomi: “Non mi pare rientri nei compiti del comune fare lo sviluppatore immobiliare – dice Rizzo -. Per questo ho proposto più volte che il comune esca dall’azionariato, recuperando le quote versate, cosa che consentirebbe di recuperare ulteriori risorse per le periferie e l’edilizia residenziale pubblica”.

Ma c’è di più. Indicazioni analoghe a quelle dei consiglieri comunali di Milano, sempre nel 2011, le avevano date anche gli omologhi di Rho, l’altro comune su cui si estendono i terreni. Parole al vento anche queste, che prevedevano di “mantenere nell’area Expo una percentuale prevalente di territorio a verde compatto, come indicato chiaramente anche dal recente referendum consultivo tra gli elettori milanesi”. Già, perché uno dei cinque quesiti che nel 2011 erano stati proposti agli abitanti del capoluogo lombardo questo chiedeva: “Volete voi che il comune di Milano adotti tutti gli atti ed effettui tutte le azioni necessarie a garantire la conservazione integrale del parco agroalimentare che sarà realizzato sul sito Expo e la sua connessione al sistema delle aree verdi e delle acque?”. Ok, il quesito parlava di quel parco agroalimentare che poi è stato tagliato dal progetto dell’Expo. Ma la volontà del 95,51% che votò sì era chiara: tra le eredità di Expo dovrà esserci un parco, non del generico verde diffuso. E invece? “Invece le dichiarazioni di Bonomi – commenta il radicale Marco Cappato, uno dei promotori di quel referendum – vanno nel senso contrario dell’indicazione dei cittadini milanesi, che era quella di cogliere l’occasione dell’Expo per lasciare alla città un grande parco”.

Il vincolo del 56% di verde sarà rispettato, ci tengono a garantire da Arexpo. Ma senza voler entrare nella polemica Stefano Boeri, l’architetto che contribuì a disegnare il masterplan di Expo lanciando l’idea che a esposizione finita si lasciasse alla città un orto planetario, una cosa la dice: “È evidente che un verde spezzettato è diverso da un unico parco. Questo lo sanno anche i ragazzi del primo anno di Architettura”.

Così ora il rischio è che al posto del parco promesso nascano tante aiuole tra un edificio e l’altro. O, per dirla con le parole di Barbara Meggetto, presidente di Legambiente Lombardia, il rischio è di avere “una spruzzata di verde su un delirio di grigio. La parte di verde deve avere un suo valore e un suo senso, deve essere il più possibile fruibile. Spezzare troppo il verde è frutto di un’idea antica di come devono essere concepite le città moderne. Il parco unitario che era previsto sarebbe un polmone verde che consentirebbe di fare respirare un’area incastrata tra la tangenziale, le autostrade, la ferrovia e l’inceneritore Silla 2”.

@gigi_gno

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