I ventenni Neet che aumentano a ritmi elevatissimi; il corpo insegnante che invecchia sempre di più. L’ultimo rapporto dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, intitolato Education at a Glance 2016, fornisce una fotografia impietosa del nostro Paese e, in particolare, del suo sistema educativo. Un sistema che tra l’altro, certifica sempre il documento diffuso oggi, riceve finanziamenti pubblici sempre più scarsi: il 14% in meno negli anni della crisi.

Le note più dolenti riguardano i giovani: oltre un terzo di quelli di età compresa tra i 20 e i 24 anni non lavora e non studia. Tra il 2005 e il 2015 la loro percentuale è aumentata del 10%, in misura superiore rispetto agli altri Paesi Ocse. Ciò, fanno notare i tecnici di Parigi, è spiegabile solo in parte alla luce della crisi economica, che ha causato un calo del 12% del tasso di occupazione dei 20-24enni. In altri Stati, come Grecia e Spagna, ad una diminuzione simile (o maggiore) del tasso di occupazione non è corrisposto un aumento così vistoso dei Neet (Not in education, employment or training). Ciò che è mancata, in Italia, è stata la capacità di riassorbire i cittadini senza lavoro in percorsi d’istruzione e formazione. Se da noi, negli ultimi 10 anni, le iscrizioni all’Università degli under 25 sono aumentate del 5%, in Grecia e Spagna questo tasso si è attestato rispettivamente al 14 e al 12%. È un indizio evidente di come la prospettiva di una laurea non venga vista in Italia come una garanzia di avere maggiori possibilità d’impiego.

Neanche la situazione del corpo insegnante ammette ottimismo. Il rapporto evidenzia che l’Italia ha i docenti più anziani dell’area Ocse. Ha più di 50 anni, in particolare, il 58% dei maestri elementari, il 59% dei professori delle scuole medie e addirittura il 69% di quelli nelle superiori. Una categoria invecchiata, dunque, ma anche a forte trazione femminile: solo due insegnanti su dieci sono uomini. Squilibrio di genere che però diventa molto meno netto a livello dirigenziale: se, ad esempio, il 78% dei docenti nelle secondarie è composto da donne, il tasso delle dirigenti scolastiche non va oltre il 55% del totale. I tecnici dell’Ocse apprezzano le recenti riforme del governo italiano, che prevedono un piano di assunzione in grado di “ringiovanire” il corpo docente, ma al contempo puntano il dito contro i bassi stipendi di maestri e professori. Il cui salario, tra il 2010 e il 2014, è calato del 7% in termini reali.

L’altro punto su cui l’Ocse bacchetta Roma è quello dei finanziamenti statali destinati all’istruzione. Tra il 2008 e il 2013, la spesa pubblica per il settore è scesa di 14 punti percentuali. Un calo che, anche in questo caso, non spiega solo in virtù della necessità di far i conti con la crisi: non si tratta, si legge nelle pagine di Education at a Glance 2016, di “una riduzione totale della spesa pubblica in termini reali”, ma anche di “un cambiamento nella distribuzione della spesa su altre priorità”.

A riprova di ciò, il rapporto evidenzia come, nello steso arco di tempo, nel resto del settore pubblico i tagli siano stati del 2%. E nel contesto di questa progressiva riduzione delle risorse destinate all’istruzione, si colloca anche un altro dato negativo: in Italia circa l’80% degli studenti iscritti all’Università (corsi di laurea di primo e secondo livello) non riceve alcun aiuto finanziario o sostegno per le tasse d’iscrizione sotto forma di borse di studio o prestiti. Un dato che costituisce un “ulteriore ostacolo” all’accesso all’istruzione terziaria. E se il supporto pubblico latita, anche il ricorso a forme alternative di finanziamento rimane poco diffuso: la percentuale di studenti che utilizzano i prestiti bancari garantiti dal settore pubblico, sebbene stia segnando un rapido aumento, è ancora inferiore all’1%.

C’è poi un’ulteriore peculiarità del nostro sistema educativo, stando alla sintesi fornita dall’Ocse: la grande attrattiva esercitata dagli istituti tecnici e professionali, scelti dal 56% degli studenti che escono dalle scuole medie. A differenza di quanto avviene negli altri Paesi analizzati dal rapporto, nel 2014 il tasso di disoccupazione tra i diplomati negli istituti tecnico-professionali è stata particolarmente bassa. Questo è dovuto soprattutto al fatto, rispetto ai programmi con un indirizzo simile negli altri Paesi, il vantaggio degli istituti italiani è di consentire un più facile accesso all’Università.

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