Televisione

Giovani e Ricchi, RaiDue manda in onda un viaggio mostruoso nell’inferno cafonal

Che senso ha questa operazione televisiva? Su Mtv la si capisce perfettamente, così come su uno dei tanti canali tematici che raccontato il lifestyle nelle sue mille sfaccettature. È accettabile anche su un canale Mediaset o su La7. Ma sulla Rai no, nemmeno per idea. Perché non si è mostrata la ricchezza, nossignore (i riccastri in questione possono spendere i propri soldi come meglio credono). Si è mostrata l'ostentazione, il lusso sfrenato e fine a se stesso. In un Paese che ha uno dei tassi di disoccupazione giovanile più alti d'Europa, ormai fisso al 40% da tempo

di Domenico Naso
Giovani e Ricchi, RaiDue manda in onda un viaggio mostruoso nell’inferno cafonal

 

L’arrivo alla direzione di RaiDue di Ilaria Dallatana, donna di tv che conosce il mezzo a menadito e ha un piglio contemporaneo, doveva servire a rendere il secondo canale pubblico ancora più giovane, con un target sempre più basso in termini anagrafici. Forse, però, abbiamo frainteso il tipo di giovani che la nuova RaiDue voleva attirare a sé. Ieri sera, subito dopo la prima puntata di Pechino Express, è andata in onda il docureality “Giovani e Ricchi”, un’ora abbondante dedicata al racconto della vita quotidiana di alcuni rampolli di famiglie milionarie.

E qui scatta una premessa necessaria, per sgombrare il campo dalle prevedibili accuse di ipocrisie o invidia sociale. I ragazzotti raccontati dal programma hanno tutto il diritto di spendere i propri soldi (quelli del papi, per essere più precisi) come meglio credono e non devono rendere conto a nessuno. Allo stesso modo, un programma televisivo che racconti i Rich Kids of Instagram “made in Italy” poteva anche essere una buona idea, se però fosse stata coniugata in maniera più adeguata alla televisione pubblica e alla collocazione in palinsesto.

Abbiamo assistito, a volte persino increduli per le idiozie ascoltate, a un viaggio mostruoso nell’inferno del Cafonal più spinto, quello di bassissimo livello, quello dell’ostentazione più sfrenata, di una eleganza strombazzata ed esibita ma spesso totalmente assente dal lifestyle di questi giovani milionari. Tutto lecito, beninteso, ma davvero la televisione pubblica ha la necessità di raccontare acriticamente o quasi (ogni tanto l’autore del docureality tentata di mettere un pizzico di predica ma con effetti assai scarsi) un modello di quotidianità giovanile che non solo è distante anni luce dalla stragrande maggioranza delle nuove generazioni ma che anzi stride fastidiosamente con la realtà socioeconomica di un Paese che ha uno dei tassi di disoccupazione giovanile più alti d’Europa, ormai fisso al 40% da tempo?

Il rischio di diventare populisti è dietro l’angolo, ma non si può fare a meno di notare che il programma è stato realizzato o comunque acquistato dalla Rai con i soldi del canone, gli stessi soldi che da quest’anno arrivano direttamente nella bolletta della luce e che pagano anche gli operai, le famiglie che hanno difficoltà ad arrivare a fine mese, le giovani coppie di precari, i pensionati. Che senso ha questa operazione televisiva? Su Mtv la si capisce perfettamente, così come su uno dei tanti canali tematici che raccontano il lifestyle nelle sue mille sfaccettature. È accettabile anche su un canale Mediaset o su La7, perché sono soldi e affari loro. Ma sulla Rai no, nemmeno per idea. Perché non si è mostrata la ricchezza, nossignore. Si è mostrata l’ostentazione, il lusso sfrenato e fine a se stesso. Con l’aggravante che il contraltare, il contraddittorio era blando se non del tutto assente e alla fine della fiera quei bambolotti impettiti in abiti sartoriali su misura diventano un modello da seguire, un esempio a cui ispirarsi. Uno di loro, poi, lo ha detto chiaramente: “Con 20-30 mila euro l’anno si sopravvive e basta. I giovani dovrebbero mirare a possedere una Maserati rivestita di velluto nero come me”.

Fosse stato un programma giornalistico, una roba alla Santoro o alla Iacona, di sicuro l’inviato avrebbe risposto a tono, o comunque avrebbe fatto capire al pubblico da casa che quello è UN punto di vista. Oppure uno come Enrico Lucci, che alle Iene da anni racconta con meravigliosa e sfottente ironia il cafonal italico, avrebbe sicuramente messo a tacere il figlio di papà con un bel vaffa bene assestato e uno scappellotto.

“Giovani e ricchi”, invece, si è limitato a lasciare libero sfogo ai deliri fuori dalla realtà dei baby-milionari, con la scusa del docu-reality e magari affidandosi a un senso critico del pubblico che non tutti hanno, per età, esperienze, formazione. Anche la collocazione è sembrata incomprensibile. Perché è ovvio che Pechino Express è un buon traino per un prodotto del genere, ma è altrettanto vero che una delle cose migliori dell’adventure game condotto da Costantino della Gherardesca è il racconto delle condizioni di vita nei paesi attraversati dai viaggiatori, e spesso si tratta di vite difficili, di semplicità e a volte povertà estrema, sempre raccontate con garbo e sensibilità.

Cosa voleva dimostrare RaiDue con “Giovani e Ricchi”? Di essere una rete “gggggiovane”? Di voler svecchiare target e palinsesto? Beh, missione fallita miseramente. Perché ieri sera è andato in onda una serie di macchiette danarose che non devono e non possono diventare modelli da seguire. E soprattutto non può essere la Rai a veicolarne i messaggi distorti.

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