Da una parte sgravi burocratici per le associazioni, dall’altra più trasparenza su come vengono spesi i soldi dei contribuenti italiani, quasi 500 milioni di euro ogni anno. Il nuovo 5 per mille è una specie di patto tra pubblica amministrazione e onlus, con la prima che si impegna a snellire le procedure e le seconde chiamate a rendicontare (molto più di quanto avvenuto fino ad ora) le proprie attività. Una riforma attesa da anni e arrivata con un po’ di ritardo rispetto alle scadenze previste. Ma che secondo Stefano Zamagni, economista ed ex presidente dell’Agenzia per il terzo settore (abolita dal governo Monti), “va nella direzione giusta”: “Il provvedimento interviene sui punti deboli del 5 per mille italiano, ovvero lungaggini e scarsa trasparenza. Sicuramente ci saranno dei miglioramenti, anche se si poteva fare ancora di più: il prossimo passo dev’essere il bilancio di missione“.

Di un intervento sul 5 per mille si parlava da tempo. La legge di Stabilità 2015 aveva fissato il termine all’1 marzo, il governo ci ha messo di più: il decreto è stato pubblicato in Gazzetta ufficiale lo scorso 9 agosto. I cinque articoli puntano a migliorare il funzionamento del meccanismo fiscale che permette ai contribuenti di destinare una percentuale del proprio reddito ad attività benefiche. Le onlus incassano una serie di semplificazioni che renderanno più facile (e anche meno gravoso) partecipare al 5 per mille. La più importante: dal 2016 non sarà più necessario inoltrare la domanda ogni anno. L’Agenzia delle Entrate compilerà un apposito albo e basterà farne parte per ricevere le risorse, in base alle dichiarazioni dei cittadini. Soltanto in casi di variazioni sociali bisognerà inviare la documentazione necessaria all’amministrazione, che ogni anno provvederà ad aggiornare l’elenco.

Quanto alla trasparenza domandata da più parti, l’articolo 3 del decreto stabilisce nuove “modalità di rendicontazione“: da oggi “i soggetti destinatari dovranno redigere entro un anno un apposito rendiconto accompagnato da una relazione illustrativa, dal quale risulti con chiarezza la destinazione delle somme attribuite”. Una rivoluzione, perché fino ad oggi non c’erano obblighi di pubblicazione (solo alcune onlus lo facevano spontaneamente). Il provvedimento si spinge ancora oltre, stabilendo “l’indicazione delle spese sostenute per il funzionamento, ivi incluse le spese per risorse umane e per l’acquisto di beni e servizi, dettagliate per singole voci di spesa”.

Presto, insomma, i bilanci delle associazioni saranno noti a tutti nel dettaglio: “E questo darà fastidio a certi enti che impiegano i soldi del 5 per mille più per sostenere il proprio apparato e catturare una fetta sempre più ampia di contributi che per realizzare opere benefiche“, commenta Zamagni. “In futuro i cittadini potranno informarsi liberamente e destinare i propri soldi a chi li merita veramente”. Il giudizio, dunque, è positivo. A questa riforma manca soltanto una cosa: “Il salto di qualità definitivo ci sarà quando passeremo dalla trasparenza all’accountability: rendicontare vuol dire raccontare cosa si è fatto, ma non quali obiettivi sono stati centrati. Si possono spendere soldi in maniera perfettamente legale e trasparente, ma senza raggiungere gli scopi che ci si era prefissi”, spiega l’economista. “Mi sarebbe piaciuto che il governo fosse andato fino in fondo, introducendo lo strumento del bilancio di missione, che misura anche l’impatto delle attività realizzate. Ma – conclude – ci arriveremo, è solo questione di tempo”.

Twitter: @lVendemiale
Articolo Precedente

Povertà, “per combattere l’esclusione sociale servono una misura universale di sostegno e una rete di servizi”

next
Articolo Successivo

Testamento solidale, 14 italiani su 100 vogliono lasciare l’eredità a associazioni umanitarie. Fenomeno da 1,1 miliardi

next