La Norvegia è un grande paese. Come sarebbe piaciuto a Vittorio Emanuele II, “piccolo, ma grande per le idee che esso rappresenta“. Uno stato sociale che realmente si preoccupa del benessere dei suoi concittadini, una burocrazia al loro servizio, una spesa pubblica oculata e prudente. Una natura imperiosa e mozzafiato, da Kristiansand a Hammerfest, conservata come si deve. Il Premio Nobel per la Pace, un regalo presuntuosetto degli svedesi, ma segno che da quelle parti sono considerati anche altri valori, non solo quelli del successo e della ricchezza. Petrolio, pesce e materie prime in abbondanza, un sistema industriale modesto, una ricchezza media elevatissima, poca gente, senza rivali nello sci di ogni genere, un po’ più scarsetti negli altri sport. Un paese con una grande tradizione culturale, nella musica, nell’arte e nella letteratura, e un grande rispetto per queste. Non sono molto religiosi i norvegesi, né hanno più l’impeto dei loro antenati vichinghi, il sistema dei partiti è senza grandi differenze, né di qualità né di contenuti, ma hanno costruito una nazione dove si vive bene, all’ombra di un socialismo senza ideologie.

La Norvegia è inoltre una monarchia, forse un po’ troppo esclusivamente “rappresentativa”. Al momento regna Harald V, che non è certamente Bellachioma (Hårfagre), ma è recentemente balzato alle glorie dell’informazione e dei social mondiali per un curioso discorso, osannato – ingiustamente – da tutti, in cui ha preso le difese dei più deboli (profughi) e delle minoranze di genere, riecheggiando John Fitzgerald Kennedy quando volle identificarsi con i berlinesi. Peccato che su questi temi, la Norvegia non sia certo un paese esemplare e anzi la sua politica e le sue leggi nei confronti dei profughi e degli stranieri, siano tra le più rigide e discriminatorie di tutta Europa, e quindi non abbia proprio nulla da insegnare a nessuno.

La Norvegia infatti è fuori dall’Unione Europea e aderisce ai trattati europei sulla libera circolazione quando e se le fa comodo. Ottenere la cittadinanza norvegese non è mai stato facile. Solo i profughi politici potevano aspirarvi e in genere c’era una consolidata abitudine a rispedirli in qualche altro paese intermedio, dove eventualmente fossero transitati prima di giungere nella patria di Grieg.

Anche una volta ammessi alla procedura per la richiesta della cittadinanza, le cose poi non erano così semplici, perché spesso gli aspiranti erano trasferiti in qualche centro di raccolta nel nord della Norvegia a meditare sulle loro reali motivazioni. Di recente i cordoni sono stati ristretti ulteriormente, ad esempio l’acquisizione tramite matrimonio della cittadinanza norvegese è stata disciplinata più strettamente, legandola al censo e al reddito, sicché si sono avuti molti casi di discriminazioni e di respingimenti di stranieri, a causa del reddito insufficiente dei partner e perfino tristi vicende di minacce di rimpatrio coatto per donne agli ultimi mesi di gravidanza.

Insomma sarà anche una consuetudine dei politici non solo latini, quella di predicare esattamente l’opposto, ma dal momento che Kong Harald non poteva ignorare l’esistenza di quelle stesse leggi norvegesi che lui aveva controfirmato, una maggiore prudenza nell’esprimere parole così belle, ma così distanti dai fatti e dai comportamenti del suo paese, sarebbe stata preferibile, certamente più regale e ci avrebbe evitato le file dei like insensati sui social.

A questo proposito, il grande Rudyard Kipling, tra i molti insegnamenti difficili ma esemplari che elencò nel suo celeberrimo If, ricordava don’t look too good, nor talk too wise, che oltre tutto è un segno di grande intelligenza. Ma la politica oggi – nell’era dei social e di internet – non ama le parole di verità, le strade scomode, l’accettazione della cruda (talvolta) realtà, preferisce i tarallucci, le promesse spudorate e le virtù alla moda, anche quando sono inventate. Una realtà virtuale, appunto. Perfino nella bella Norvegia.

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