E’ paradossale che vengano eretti muri da quegli Stati che hanno vissuto la tragedia del muro, quello che ha separato il mondo in due. Il muro in Ungheria, quello in Macedonia fino a all’ultimo, lungo un chilometro, che verrà eretto a Calais, in Francia, dal governo inglese per “frenare” tutti i rifugiati che “sognano” la Gran Bretagna.

Ma Calais richiama alla memoria immagini della seconda guerra mondiale: i tedeschi che entrano in Francia e le truppe fedeli al governo di Parigi che, proprio su quelle spiagge, battono in ritirata verso la Gran Bretagna che accoglie. Invece, oggi questa parola, “accoglienza”, pare aver poco significato nell’Europa che non ha memoria delle sue radici. Siamo un continente che si è rifondato sulle macerie del secondo conflitto mondiale le cui radici sono ben ferme sulle fosse comuni, i crateri dei bombardamenti e la promessa, fatta dai padri fondatori, che mai più una tragedia simile si sarebbe ripetuta.

Oggi il nazionalismo, quello che per legittimarsi usò la paura verso lo straniero, riaffiora e bussa alla porta dei nostri Paesi. I leader di questi movimenti sono forti dell’amnesia del passato che si fa largo fra la gente. Sarebbero perfino disposti a riscrivere la storia se servisse ai loro fini elettorali. Ci dicono di aver paura e solo questo sentimento ci può salvare dal futuro incerto. Il capro espiatorio di tutti i nostri problemi, come settantanni fa, è qualcuno che è considerato “altro”.

Cacciati loro, concludono, tutti i nostri problemi saranno risolti. E’ come se il nostro benessere fosse proporzionato alla nostra capacità di respingere gli altri: più rifugiati, disperati, riusciamo a respingere e più staremo bene.

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