Per la procura di Lecce, le due inchieste aperte sul gasdotto Tap vanno chiuse. A firmare le richieste di archiviazione del procedimento è il procuratore capo Cataldo Motta in persona. Gli atti sono stati notificati due giorni fa al sindaco di Melendugno, Marco Potì, che ha dato incarico ai propri legali per opporsi.

Potrebbe arrivare presto al capolinea, dunque, il doppio filone di indagine relativo ad autorizzazioni incassate dalla multinazionale svizzera ed avvio del cantiere del metanodotto, che entro la fine del 2020 dovrà immettere gas azero nella rete italiana. Tutto in regola, secondo gli inquirenti, che non hanno evidenziato alcun illecito. Spetterà al giudice per le indagini preliminari, ora, decidere se chiudere definitivamente questo capitolo giudiziario oppure lasciarlo aperto, ordinando al pm nuovi accertamenti. Ciò che è certo è che il Comune non ha intenzione di restare con le mani in mano, facendo leva anche su una nota del Ministero dell’Ambiente che, in apparente contrasto con il Ministero dello Sviluppo Economico, nel luglio scorso, ha ribadito che attualmente si è nella “fase zero” dei lavori.

Due, si diceva, i percorsi d’indagine. Il primo fascicolo è scaturito dalle denunce depositate già a partire da maggio 2015 dal sindaco di Melendugno e dal comitato No Tap Salento. Cuore della questione: l’applicazione della normativa sul rischio di incidenti rilevanti e la validità dell’Autorizzazione unica rilasciata dal Mise il 3 dicembre 2014. A pesare sulla richiesta di archiviazione, a firma anche della pm Angela Rotondano e datata 19 luglio, è la relazione depositata dai consulenti tecnici nominati dalla Procura, due ingegneri e un chimico: la quantità massima di gas presente nel terminale di ricezione (Prt), in base al progetto, sarà pari a 48,6 tonnellate, poco al di sotto della soglia di 50 tonnellate che farebbe scattare l’applicazione della direttiva Seveso, da cui, quindi, Tap sarebbe esonerata. Dunque, di conseguenza, per gli inquirenti, “le procedure amministrative svolte dal Ministero dello Sviluppo Economico […] sono conformi alle norme specifiche vigenti in materia”.

Questione ancora più spinosa è quella relativa all’apertura del cantiere. La data limite entro cui avviarlo, secondo disposizioni europee, era quella del 16 maggio scorso, pena la decadenza dell’Autorizzazione unica. Per il comune di Melendugno, quel termine non sarebbe stato rispettato, in quanto l’apposizione di una semplice recinzione in plastica e i saggi archeologici non basterebbero a integrare i presupposti di un avvio formale dei lavori, essendo necessario procedere, piuttosto, almeno allo spostamento degli alberi.  A dar coraggio a questa ipotesi è la nota del 5 luglio scorso inviata dal Ministero dell’Ambiente, secondo il quale “attualmente si è nella cosiddetta Fase 0 ovvero di avvio del cantiere, consistente in particolare nella rimozione degli ulivi e realizzazione della strada di accesso all’area di cantiere del microtunnel”.

La Procura di Lecce tira dritto: il 18 agosto, Motta ha chiesto l’archiviazione anche di questa inchiesta. “Deve affermarsi – ha scritto – che i lavori sono iniziati entro il termine previsto, dovendosi ricordare che anche quelli inerenti alle indagini archeologiche e alla bonifica da eventuali ordigni bellici sono, ovviamente, lavori a tutti gli effetti e la loro esecuzione comporta l’inizio dei lavori al fine dell’osservanza del relativo termine”.  È la stessa posizione del Ministero dello Sviluppo Economico, espressa dal direttore generale Gilberto Dialuce, anche lui denunciato per falso dal sindaco del Comune di Melendugno. Accuse infondate, secondo la Procura.

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