Per Federico Aldrovandi e Stefano Cucchi parlarono le foto. Per lui “è la mia voce la testimonianza vivente di un grande abuso subìto da un cittadino italiano da parte dello Stato”. Paolo Scaroni ha ricevuto l’indennizzo dal ministero dell’Interno per quanto subito il 24 settembre del 2004. Un milione e 400mila euro per compensare il fatto che dei poliziotti lo hanno reso invalido al 100 per cento. Quel giorno Scaroni, oggi 40enne, si trovava alla stazione di Verona, al seguito del Brescia, la sua squadra del cuore. Lui, ultrà, si trovò nel mezzo dei tafferugli che fecero contorno alla gara contro l’Hellas Verona. Come raccontò a ilfattoquotidiano.it, venne circondato dai manganelli degli agenti (impugnati in senso contrario, per colpire con il manico, si scoprirà in dibattimento). Venne massacrato di colpi e ridotto in fin di vita. Rimase in coma per due mesi. Poi la lunga trafila dei reparti riabilitativi.

Altri otto mesi di calvario non furono sufficienti a ridargli quel minimo di capacità motoria utile per continuare il lavoro di allevatore, o per trovarsene un altro. I medici gli diagnosticheranno menomazioni permanenti e croniche sia di natura fisica che intellettiva. Quell’agonia è ancora presente nella sua voce. “Per anni ho dovuto imparare di nuovo a parlare, camminare, muovermi”. E oggi, dalla sua casa di Castenedolo in provincia di Brescia, quel risarcimento lo vede come “una vittoria di Pirro”, perché “questa macchia è indelebile; se pensano che dimenticherò tutto il male che mi hanno fatto si sbagliano di grosso. Lo Stato italiano si è arrogato il diritto di strapparmi la vita di dosso, me l’ha presa e l’ha buttata nel cesso”.

Ciononostante chi l’ha ridotto così non verrà punito dalla giustizia italiana. Il processo di primo grado nel tribunale di Verona si è concluso nell’ottobre del 2013 con l’assoluzione degli otto poliziotti del settimo reparto mobile di Bologna dal reato di lesioni gravissime. Sette di loro per insufficienza di prove, un ottavo agente, alla guida della camionetta, per non aver commesso il fatto. Eppure nelle motivazioni il giudice ammette che“Scaroni subì un pestaggio gratuito, immotivato rispetto alle esigenze di uso legittimo della forza”. Ma l’impossibilità di identificare materialmente gli autori del pestaggio ha fatto il resto. “I filmati dei colleghi degli imputati – scriveva in una interrogazione al Viminale il deputato di Sinistra ecologia e libertà, Luigi Lacquaniti -, che in teoria avrebbero dovuto contenere le immagini di tutti gli scontri, s’interrompono proprio nei minuti in cui Paolo sarebbe stato massacrato”.

Lo spazio è rimasto aperto per il risarcimento in sede civile, anche se il diretto interessato si chiede a questo punto: “Se io, ultrà, sono il male della società, come sento dire spesso, chi mi ha ridotto così cosa è? Il giudice ha detto che le forze dell’ordine sono state forze del disordine. Questo ha aperto la strada alla vittoria in sede civile, ma io trovo indegno di una democrazia che il ministero non abbia nemmeno comunicato ufficialmente nulla ai propri cittadini in merito a questo risarcimento. Evidentemente non vuole che si sappia”. Intanto si attende, a quasi tre anni di distanza, l’appello in sede penale. Il pubblico ministero ha impugnato la sentenza di primo grado. Scaroni, avendo scelto la strada del risarcimento in sede civile, non potrà essere parte nel processo. Chi l’aveva assistito in prima istanza, l’avvocato Alessandro Mainardi, non lascia trasparire grandi aspettative. “Ormai, dopo dodici anni – dice –, ci avviciniamo verso il binario morto della prescrizione”.

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