V’è un antico e forse non rincuorante adagio che dice che quando si è toccato il fondo non resta altro da fare che scavare. E così quasi sempre avviene. Ed è anche avvenuto in questi giorni di fine agosto. In questa luce propongo di leggere la vicenda – che tanto ha fatto discutere nella nuova agorà alienata delle reti sociali – del cosiddetto Fertility Day.

Si tratta, a quanto pare, di una giornata consacrata alla sensibilizzazione sulla natalità e sull’esigenza di fare figli, “per richiamare l’attenzione di tutta l’opinione pubblica sul tema della fertilità e della sua protezione” (sic). L’istituzione di questa giornata – così leggiamo sulle pagine del sito del ministero della Salute – “è prevista dal Piano Nazionale della Fertilità per mettere a fuoco con grande enfasi il pericolo della denatalità nel nostro Paese, la bellezza della maternità e della paternità, il rischio delle malattie che impediscono di diventare genitori”.

E così sul finire dell’estate, tra un attacco terroristico e l’altro, ti accorgi dell’invenzione di ipocrite campagne pubblicitarie sulla fertilità delle donne. Le chiamano #fertilityday, ovviamente con l’usuale subalternità culturale e linguistica rispetto alla lingua dell’impero. La sovranità nazionale è perduta anche a livello linguistico: e, con essa, la dignità del Paese. Occorre essere diretti ed evitare di ricadere nell’ipocrisia ovunque imperante: in un Paese in cui grazie ai salari risibili, al precariato dilagante e all’ormai inesistente stato sociale fare figli è praticamente impossibile, il #fertilityday suona, e non obliquamente, come una solenne presa in giro.

Una vergognosa presa in giro, se consideriamo che le donne che oggi hanno venti o trenta anni non possono materialmente fare figli: e non per ragioni biologiche, ovviamente. Bensì per quelle prosaiche ragioni economiche e sociali di cui pare nessuno voglia ormai ricordarsi, ma che chi ha frequentato i testi di Marx e Gramsci (dunque non Renzi e i piddini) non può omettere.

Oltre al danno, la beffa: ci vogliono fare credere che se gli italiani non procreano, ciò dipende dalla mancanza di informazione e di sensibilizzazione, e non dalle condizioni materiali oscene in cui versano. L’Italia messa in ginocchio dell’euro e dalle abominevoli politiche dell’austerità, dalle tanto magnificate “rivoluzioni liberiste” e dai taumaturghi del mondialismo, non è più in grado di permettere materialmente ai suoi cittadini di procreare: e anziché agire come dovrebbe, cioè facendo politiche sociali necessitanti la riconquista della sovranità e la valorizzazione della comunità umana, fa risibili, inutili, ipocriti e – è il caso di dirlo – sterili politiche di propaganda in stile fertility day.

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