Cosa pubblicare e cosa no. Storie osteggiate, giornalismo d’inchiesta per guardare sotto i tappeti della società e della politica raccontandone i gangli, o confezionare verità ad hoc per lettori medi e poteri forti? La diatriba tra buon giornalismo e meno buono (chiamiamolo così) è trasversale. Dai grandi editori a quelli locali, in Italia o fuori, o addirittura tra i lettori stessi gli scontri dialettici sono all’ordine del giorno. Così, visto il momento attuale appesantito da toni aspri e picchi infelici ho rivisto un paio di film molto recenti che sintetizzano in cinema il buon lavoro di redazione.

Il Caso Spotlight di Tom McCarthy, doppio Oscar per sceneggiatura originale e Miglior film, ripercorre i mesi a cavallo dell’11/9, quando il Team Spotlight, sezione investigativa del quotidiano locale Boston Globe portò a galla con un suo documentato articolo più di 70 casi di pedofilia legati a preti cattolici di Boston. Asciutto e dallo stile rigoroso, Spotlight è incentrato sulla ricerca di prove, documenti, testimonianze per ricostruire un puzzle di reati gravi rivelatosi molto più ampio del previsto. Un scandalo che scatenò reazioni e nuove inchieste internazionali, una scossa propagata su decine di altre redazioni e paesi rimasta come faro del giornalismo d’inchiesta moderno.

Il cast capitanato da Michael Keaton brilla coralmente, ma nell’edizione Blu-Ray gli extra contengono un necessario approfondimento diviso in vari capitoli. Nelle Featurette la vera redazione del BG parla di quell’intenso anno di lavoro, mentre cast e regista ricordano la preparazione delle riprese con il pensiero rivolto a difficoltà e importanza del giornalismo d’inchiesta e di quello locale rispetto alle attuali e più modaiole notizie-show. Nelle Interviste si raccontano il regista e due dei protagonisti, Mark Ruffalo e Stanley Tucci, e infine I giornalisti del BG incontrano il cast del film: attore e rispettivo giornalista interpretato si confrontano su mestiere e studio dei personaggi. Tra le coppie Rachel McAdams e la redattrice Sacha Pfeiffer, Liev Schreiber e l’editore Martin Baron.

Dal giornalismo d’inchiesta su carta di Spotlight mi sono spostato verso Truth – Il prezzo della verità di James Vanderbilt. Cate Blanchett e Robert Redford interpretano i giornalisti della CBS News che furono allontanati dalla rete a seguito del loro servizio televisivo sull’inadempienza di George W. Bush ai tempi del Vietnam in servizio presso la Guardia nazionale aerea. Qui il ritmo è più concitato, sintonizzato su una partizione catodica, più dinamica e politicamente destabilizzante nei suoi meandri più duplici.

Purtroppo nelle versioni homevideo non ci sono extra, quando invece il pubblico e la storia ne meritavano. Comunque in occasione dell’uscita al cinema, l’anchorman decano Dan Rather interpretato da Redford ha definito la CBS come “l’istituzione che sta dietro al nostro giornalismo, dall’era di Edward R. Murrow, fino ai diritti civili, al Vietnam, ad Abu Ghraib, tutta la nostra lunga storia e tradizione di mettere in discussione il potere. Amavo quello per cui la CBS News ha combattuto per oltre mezzo secolo, e l’amo ancora”. Mary Mapes, la producer responsabile di quel servizio (Blanchett) gli ha fatto eco: “Era la chiesa della CBS, io mi ero unita all’ordine. Credevo fermamente nell’organizzazione. Credevo nel giornalismo, nella purezza e nell’importanza di quel genere di lavoro. Pensavo di essere stata fortunata ad aver ottenuto il miglior lavoro al mondo. Lavorare assieme a Dan è stato un onore incredibile. Prima che diventasse mio amico lo avevo ammirato per tutta la mia vita adulta, e lavorare assieme a lui è stata davvero una benedizione”.

“L’intenzione del film non è mai stata quella di provare che la Mapes e Rather avessero ragione o torto riguardo alla storia. Così Come Tutti Gli Uomini del Presidente non parla di Richard Nixon, questo film non parla di George W. Bush”. Ha affermato il regista. E fondamentale mi è sembrato poi questo pensiero di Rather che vale la pena di riportare integralmente:

Non ho bisogno di conferme o di redenzione. Provo una grande passione per quello che faccio a livello professionale, l’ho sempre avuta e ancora ce l’ho. Ma se la nostra storia può aiutare anche un solo giornalista a ribellarsi contro interferenze e intimidazioni, se può servire anche a un solo spettatore a capire quanto siano importanti i notiziari, se può aiutare anche un solo elettore a votare coloro che possano proteggere la democrazia e il giornalismo da coloro che vogliono imprigionarli, allora ne sarà valsa la pena“.

Per chi volesse approfondire il tema, il film è tratto dal memoir della Mapes Truth and Duty: the Press, the President and the Previlege of Power, pubblicato nel 2015.

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