“Tre anni fa morivano mio padre, mia madre, mio fratello e i suoi figli. Ho provato la sensazione che il mio cuore bruciasse: non potrò mai dimenticare quel giorno” racconta Abu Amar Ghazal, sopravvissuto all’attacco chimico condotto la notte del 21 agosto 2013 a Damasco, intervistato da Rana Jamous, giornalista di al Araby el Jadid, quotidiano panarabo con base a Londra. “Nulla può riempire il vuoto lasciato dalla mia famiglia” conclude Ghazal.

Sulla capitale siriana, la notte del 21 agosto 2013 fu sferrato un attacco con armi chimiche al gas Sarin che causò la morte di circa 1400 persone. Interi nuclei familiari vennero cancellati. La linea rossa sull’uso della armi chimiche tracciata da Obama era stata superata. Gli Usa ventilarono un intervento militare contro il governo di Bashar al Assad, accusato da più parti di aver usato il Sarin contro la zona controllata dall’opposizione.

“Arrivai all’ospedale velocemente verso le tre di notte – racconta il dottor Ammar Shami. Non riuscivo a credere che eravamo stati colpiti da un attacco chimico, ma c’erano decine di feriti all’entrata dell’ospedale che mi hanno riportato alla realtà. A prima vista, non si distinguevano i vivi dai morti perché molti erano svenuti. A un certo punto, mi sono concentrato su di un bambino che avrà avuto circa tre anni: il suo volto era blu come quello degli altri ma le sue mani si muovevano appena. L’ho preso in braccio e ho cominciato a curarlo. Il giorno dopo, ho scoperto che era stato l’unico superstite della sua famiglia”.

Salah Dahla, responsabile di una organizzazione umanitaria, intervistato dalla Jamous, è ancora incredulo “l’attacco chimico è stato come un incubo che mi è passato di fronte. Ci hanno salvati strappandoci nella notte dai nostri letti, eravamo ancora in pigiama: non posso dimenticare. Mi mancano sempre le parole quando ripenso a quel fatidico giorno”.

Nelle settimane seguenti all’attacco, Russia e Stati Uniti si accordarono per un piano di smaltimento delle armi chimiche siriane, accettato dal governo di Damasco solo dopo le pressioni di Mosca. Tecnici dell’Opac – l’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche – furono mandati in Siria e ricevettero dalle autorità siriane una mappa dei depositi dove erano contenute le armi. Circa 1300 tonnellate di agenti chimici furono consegnate e smaltite, in larga parte sulla nave americana Cape Ray.

“È sufficiente notare che si è trovato un accordo per una soluzione al problema dell’uso di armi chimiche e non al massacro compito con le armi chimiche – ha scritto Yassin Haj Saleh, intellettuale siriano molto noto, sul sito internet al Jumhuriya – sottolineando che i responsabili del massacro sono rimasti impuniti. “Non è stata trovata una soluzione al ‘problema’ dei siriani uccisi che fino a quel momento avevano già raggiunto i 100mila. Si è trovato un accordo che ha avuto un significato per la Russia, gli Usa e Israele. Non per i siriani”.

Secondo un rapporto stilato dal network siriano per i diritti umani, sarebbero 139 gli attacchi chimici compiuti dal giorno dell’attacco alla capitale nella Ghouta orientale: 136 sarebbero stati portati a termine dal governo di Damasco e 3 dallo Stato Islamico.

Intanto Mahmud, 70 anni, non riesce a rispondere alle domande della Jamous: ha perso moglie, figlio, nipoti nel massacro chimico. Per lui, tutto è fermo a quell’evento. Piange in silenzio.

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