Fino a qualche settimana fa la discussione centrale dell’estate riguardava la libertà delle donne di indossare gli shorts. Alcune pseudo femministe parlavano di oggettificazione, poi c’erano donne che parlavano di decenza, decoro, alcune si sono spinte fino al “fai vomitare” in relazione alla libertà di mostrare le cosce piene o non depilate. Sembrava che il mondo intero, islamofobi compresi, molto in linea con il leghista pensiero, ritenesse adeguato vietare per legge la possibilità di indossare shorts a meno che non fossi esattamente come da modello estetico imposto. Poi ci sono state le “opinioni” sulla mutanda della tal campionessa di sport, e tutto si concentrava nella valutazione della sua “bellezza”, salvo incafonirsi con le egiziane pallavoliste che non hanno dato pezzi di carne a vedere agli affamati di pelle da dileggiare e da sommare alla quantità di gossip che solitamente inizia e termina con un “è una troia”.

Oggi ci ritroviamo a commentare la libertà di donne che indossano il burqini per fare il bagno in piscina o al mare. Nessuno si interessa delle monache nostrane che entrano in acqua con la tonaca e il velo, o di altre persone, come le orientali, che si tappano perfino la faccia perché va di moda avere la pelle bianca, quindi mai abbronzata. In Francia si pratica una politica fanatica, assimilazionista che non consente alcun rispetto delle scelte delle donne che indossano il velo. Lo hanno vietato nei luoghi di lavoro e non contenti ora lo proibiscono in alcuni comuni perché intendono nascondere razzismo, islamofobia accentuata dall’attribuzione del ruolo del terrorista a chiunque abbia a che fare con l’Islam, spacciandolo per intento liberatorio nei confronti delle donne.

Un po’ come la guerra umanitaria alla Bush, con i bombardamenti ai civili per “salvare” le donne afghane. Classico ruolo di esportatori di “democrazia” con la forza e la violenza, tant’è che il divieto di indossare il burqini è condito di sanzioni, multe, attribuzioni di reati, nell’intento del legislatore. Divieto che non potrà che ottenere l’effetto opposto a quel che si vorrebbe: quelle donne impossibilitate a indossare il burqini non andrebbero più a godersi piscina e mare e il burqini prima che una scelta individuale diverrebbe elemento di resistenza alla colonizzazione oppressiva dell’occidente sull’oriente.

A questo si riferisce Lorella Zanardo quando si autonomina femminista e di sinistra, lei che è leader del correntone del femminismo moralista e che ha un approccio neoliberista con il femminismo, come fosse un prodotto da vendere invece che un contributo culturale che parte dai soggetti interessati e ne supporta le rivendicazioni, e commentando la questione si dichiara d’accordo con chi vieta il burqini. Neocolonialista e autoritario l’approccio, come di chi, dall’alto, decide cosa va bene per tutte le donne e cosa no. Autoinvestita di un ruolo di rappresentanza di tutte le donne che vanno da oriente ad occidente, non ha la più pallida idea di quel che è un femminismo intersezionale che rifiuta imposizioni di donne bianche, etero, borghesi, occidentali, privilegiate, in eterno piglio salvifico nei confronti di donne ritenute inferiori. Non ne ha idea perché altrimenti saprebbe che un femminismo che legittima affermazioni alla Salvini, ovvero quello che strumentalizza la liberazione delle donne musulmane e poi usa una bambola gonfiabile per parlare della Boldrini, un femminismo, cioè, che non tiene conto dell’antirazzismo, non  può definirsi tale.

Zanardo presume che chi non sceglie quel che vuole lei non esprima alcuna libera scelta. Ritiene poi che avendo amici musulmani sia giustificata quando parla di donne che non conosce ergendosi in un piedistallo dal quale detta norme sul vestire delle altre. Sa un po’ di quel che dice un leghista quando rimprovera me e dice che sono una buonista perché non bisogna aver paura, secondo lui, di “apparire” islamofobi quando la scommessa in gioco è la “libertà”. Ma la libertà di chi? La libertà di chi limita la vita altrui per legge? Quella di chi presume di saperne di più solo per aver vestito un abito una volta? E se io dicessi che le norme estetiche e d’abbigliamento della Zanardo, quando e se usa un tacco dodici, non sono buone per le donne, lei concorderà con me – che ovviamente scherzo – quando esprimo l’idea di vietare il tacco dodici? Non è una sofferenza per le donne? Causa problemi alla colonna vertebrale, alle ossa dei piedi, a lungo andare danneggia la postura. Dunque che si fa?

Non si fa niente perché io o lei indosseremo il tacco dodici, se ci piacerà farlo, come indosseremo shorts, minigonne, bikini piccolissimi o andremo al mare da nudisti, ma allo stesso tempo abbiamo da rispettare le scelte altrui senza operare alcuna colonizzazione culturale da occidentali privilegiate a quelle che prima che oggetti da salvare, corpi da affidare allo Stato paternalista e patriarcale, in nome di una supposta liberazione, sono persone, soggetti da ascoltare. Se non ti relazioni con loro non hai diritto di parlare a loro nome. Ma dalla Zanardo cosa mai potevamo aspettarci di più? Peccato che la sua retorica viri pericolosamente e sempre più a destra. Strade divise, opinioni diverse. Io sono femminista e sono dunque antirazzista, antifascista, anticlassista e non parlerò a nome di altre ma darò voce a quelle che vorranno occupare ogni spazio per rivendicare diritti. Diritti, e non divieti e repressione. Diritti, e non polizie e galere. Capito come?

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