A ogni servizio fotografico venduto sulla Sosolya Undugu Family Academy, parte del ricavato lo devolveva direttamente alla scuola di strada gestita da Mark Mugwanya. Per dare anche il suo contributo nel garantire istruzione di base ed educazione artistica ai bambini del ghetto di Kampala.

E frequentando l’accademia di “Brother Mark”, che sorge nel mezzo dello slum di Kabalagala, il quartiere a luci rosse della capitale ugandese, un giorno si imbatte in una ragazza fuori dal comune: Madina Nalwanga alla quale la regista Mira Nair ha affidato il ruolo di co-protagonista in Queen of Katwe (Walt Disney), il film di prossima uscita sulla storia vera della campionessa di scacchi Phiona Mutesi.

Lui, Damiano Rossi, è un fotografo bresciano che da molti anni ha scelto l’Africa come luogo per coniugare la professione giornalistica e l’aspetto umanitario. Nel continente nero ha coperto i principali eventi d’attualità sempre con un forte taglio sociale: dalla rivolta dei ribelli del Delta del Niger, al dramma dei ragazzi soldato in Liberia, passando per le discriminazioni dei bimbi albini in Burundi. Da cinque anni ha deciso di installare la sua casa-base nella capitale ugandese dove entra in contatto con la Undugu Family Academy e con la loro allieva più talentuosa.

“Madina proviene da una famiglia poverissima – ricorda il fotografo – Suo padre è un autista di boda-boda (i caratteristici moto-taxi ugandesi, ndr) e sua madre fa le pulizie in un supermarket”. Per aiutare a sbarcare il lunario, all’età di soli quattro anni lei e suo fratello maggiore passano la notte a vendere pannocchie nei vicoli della baraccopoli ed è lì che la ragazza fa l’incontro che le cambia la vita. “Dieci anni fa Mark decide di portarla alla sua accademia d’arte e di pagare la retta della scuola in modo da aiutare la sua famiglia”, prosegue Damiano.

Così Madina inizia a studiare le danze tradizionali e il teatro e impara a suonare diversi strumenti musicali dimostrando fin da subito un’attitudine fuori dal comune. La sua storia e quella della Undugu Family Academy sono intrecciate a doppio filo e negli anni l’accademia gestita da Mark si fa conoscere in tutta l’Uganda e anche in Europa, dove comincia a organizzare tournée con il suo corpo di ballo. L’italiano capisce subito che la giovanissima performer è una predestinata e così la fa diventare la musa di molti scatti dedicati al progetto di Mark.

Negli anni la fama della scuola, anche grazie ai reportage fotografici di Damiano, continua a crescere e nel frattempo Madina approfondisce le sue conoscenze in recitazione, musica e danza e così, nel 2015, arriva il secondo momento di svolta: la regista indiana Mira Nair, Leone d’oro a Venezia nel 2001 con Monsoon Wedding, arriva a Kampala per girare un film sulla vicenda, anch’essa incredibile, della scacchista Phiona Mutesi cresciuta anche lei in uno slum della città. La cineasta si rivolge direttamente alla Family Academy per le comparse del suo film, ma, una volta vista Madina, decide di affidarle il ruolo di Phiona. Sarà lei la co-protagonista al fianco della keniota Lupita Nyong’o, premio Oscar alla miglior attrice non protagonista per 12 anni schiavo, che interpreterà la madre della campionessa di scacchi.

“Noi prepariamo i nostri ragazzi a cogliere al volo le opportunità che ti riserva la vita”, ama ripetere Mark che non si dice “affatto stupito” dal successo di Madina. Damiano si spinge oltre: “Nel 2017 l’attrice vincerà una statuetta d’oro”. Intanto, quel che conta, è proteggere la ragazza dall’inaspettato successo e dagli squali dell’industria cinematografica. Ma lei non si scompone e davanti alle telecamere del FattoTv afferma di “essere sempre la stessa” e, con il gruzzoletto guadagnato, di voler costruire una sede più grande per l’accademia “in modo che i miei piccoli fratelli possano crescere sentendosi sempre più liberi”.

Per fare una donazione alla Sosolya Undugu Dance Academy clicca qui

Articolo Precedente

Libri: ‘Hijo de Puta’, le memorie di un legionario tra guerra ed espiazione

next
Articolo Successivo

Mantanus, il maestro in jeans: “Classica e pop? Più vicine di come sembrano. E basta teatri come musei, servono format nuovi”

next