Tu stai lì, la vedi lucida di crema appena spalmata. Crema abbronzante intendo. Il suo lettino è immacolato, come l’asciugamano, e ruota a spicchi seguendo solo la direzione del sole. Ha un costume bellissimo, che ti chiedi perché mai tu non l’abbia scelto. Lo slaccia con classe, quanto basta per evitare i segni dell’abbronzatura, così che sia uniforme e dorata.

Tu, invece, hai le gambe bianche, ma in compenso le spalle nere, quelle di chi passa una giornata intera sotto il sole ma senza alcuna intenzione di farlo. È un sole passivo, che finisce a picco sulla punta delle spalle, mentre corri da una riva all’altra di quel piccolo mondo che si chiama spiaggia. Davanti a te, sempre troppo lontani, due bimbi. La spiaggia d’estate e i bambini non si dovrebbero mai incontrare. Quella che per loro è la terra promessa, per te è la terra del fuoco. Lui ha un anno e l’altro 5 e la sabbia sembra non scottargli mai sotto i piedi. Al mare con i bambini è così, quello che per te è fatica per loro è gioco. E allora relativizzi il senso delle cose e attribuisci utilizzi differenti a oggetti di uso comune. Ad esempio: il lettino è un trampolino di lancio, se ne salti due sei un grande, se ne salti tre senza ricorrere alla cassetta del pronto soccorso hai vinto per l’intera stagione. L’ombrellone è un optional che ti domandi davvero che cosa l’hai pagato a fare, il bagnino che ti fischia contro il questore da aggirare, le palette e i secchielli l’ennesimo pretesto per litigare tra fratelli e l’asciugamano il drappo rosso del torero. Ma il toro sei tu. Alle 14.30 di metà agosto.

Le vacanze in spiaggia con i bimbi sono scandite da quanto riesci a essere una madre snaturata. In ogni momento della giornata puoi cadere nell’agguato:

Mattina. Arrivi sempre tardi, alla faccia di tutti pediatri che ti consigliano “le ore fresche”. Finisci di spalmare la crema che è già ora di pranzo e allora cadi nel dilemma matematico delle ore pre e post bagno: se x sta al bagno pre-pranzo, come y sta alle tre ore che “devi aspettare dopo aver mangiato”, a che ora ti conviene pranzare? Ma la logica algebrica cade al quarto richiamo a tuo figlio in acqua da due ore, con una voce stridula che neanche al mercato all’asta del pesce: “guarda che c’hai le mani cotte, tu dopo il bagno non te lo fai”. E infatti dopo un’ora e mezza, stanno di nuovo in acqua.

Primo pomeriggio. Dopo esserti mangiata (in piedi) l’insalata di riso che avevi (di notte) preparato per le creature (“la prossima volta, allora, vi porto un panino”), ti guardi intorno e ti sembra che il mare dorma. Ti sembra anche che i figli degli altri dormano, tranne i tuoi che sfidano il sole torrido col rischio di un’insolazione. Sei proprio una madre snaturata. Provi così a dare un senso all’ombrellone, sotto gli occhi critici dei tuoi vicini di spiaggia, che ti giudicano come se avessero appena parlato col pediatra (spie!). Minacci il grande che ci si ficchi sotto e acchiappi il piccolo perché si addormenti su quel passeggino fatto di briciole e sabbia. Percorri in media sei chilometri sotto il sole, in una monotonia di avanti e in dietro su quell’unica passerella, e impieghi circa 40 minuti per addormentare il piccolo. Che verrà svegliato dal grande al primo calcio di pallone. In tutto avrà dormito circa mezz’ora e ti domanderai se tanta fatica nell’addormentarlo sia valsa la pena. Intanto sono le 16 e ti accorgi adesso di non esserti ancora cambiata del tutto. Guardi la signora unta e lucida e ti ricordi solo di non aver spalmato di nuovo la crema ai bambini dopo il bagno. Sei proprio una madre snaturata.

Pomeriggio inoltrato. Fai per andare. Conti i minuti come al timbro del badge, ma hai fatto i conti senza l’oste. L’oste è il mare, con le onde alte perché la sera si alza il vento. E quindi “il bagno non te lo puoi fare”. “Sai nuotare? Non abbastanza bene”. “E allora guardami dal lettino”. Accetti la sfida, sono a due metri, e poi è grande, sta a riva, ci stanno i bagnini. È a quel punto che azzardi l’inconfessabile: ti sdrai. Un minuto. Poi riapri un occhi. Oddio non lo vedo. Li spalanchi entrambi. Ah, ecco sì che lo vedo. Ma siamo sicuri che lo vedo? E se poi non lo vedo? Dai, “esci che c’hai le mani cotte! Tu domani il bagno non te lo fai”.

Sera. Entri in cabina per riassettare tutti i vesti, i costumi e i braccioli, laddove sembra esserci passato un esercito e riscopri un libro affranto tra gli scaffali dei loro giochi. Era quello dell’anno scorso. Lo apri, è fermo a pagina 10. Lo richiudi e pensi che pagina dieci, in fondo, è un bel traguardo. Se ti compri un libro da 20 pagine in due estati riesci persino a finirlo.

Ti congedi dalla spiaggia al tramonto, saluti la signora col lettino perfetto, l’asciugamano intatto e le gambe lucide (di crema dopo sole, stavolta) e finalmente la tua coscienza è apposto. Torni a casa alle 20. Hai finalmente evitato le ore calde.

L’estate con i bimbi è così, di anno in anno speri solo sia la volta buona, quella dell’autonomia, dell’ora del risposo, di un libro sotto l’ombrellone. Dell’ombrellone. Talvolta, più semplicemente, speri che abbiano sviluppato un quoziente intellettivo tale da poter giocare a burraco a un anno con i vecchietti davanti alla cabina. Va bene tutto, purché si fermino.

Ma quest’anno non mi fregate, io ho risolto, si va in montagna (eh, però attenti che ci stanno le vipere).

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