Quando 10 anni fa ha lasciato la sua Calabria non avrebbe mai immaginato di servire una pizza fumante a Jeff Bezos, numero uno di Amazon, tra i 10 uomini più ricchi al mondo. Maico Campilongo è originario di Scalea, ha 43 anni e il 24 ottobre del 2005 si è trasferito definitivamente a Palo Alto, California. “Avevo un lavoro a tempo indeterminato nel settore dell’informatica, a Trento, con i miei 1.200 euro al mese – racconta –. Ho lasciato perché il futuro mi spaventava, non vedevo progressi nella mia posizione lavorativa, perché volevo cambiare settore. Ma senza una laurea e senza conoscere l’inglese, alla mia età, era davvero dura”.

Nella Silicon Valley, dopo aver lavorato come cameriere per 3 anni, ha deciso di dare vita a Terùn, un locale tutto suo, gestito insieme a suo fratello Franco. “Palo Alto è il cuore della Silicon Valley. Tutto, di fatto, è cominciato da qui. E anche noi siamo influenzati dall’aria che si respira”, racconta. Maico adora andare tra i tavoli, confrontarsi con i clienti, capire chi è seduto in sala. Il motto è semplice: bisogna mantenere lo stesso comportamento con tutti i clienti. “È un allenamento costante, il nostro – aggiunge – Mi piace conoscere chi ci viene a trovare”.

A pranzo al Terún anche Mark Zuckerberg e Larry Page, fondatori di Facebook e Google. “Hanno moto gradito la cucina italiana”

Al Terún si svolgono tantissimi meeting, arrivano decine di imprenditori, in pausa pranzo per uno spuntino veloce o a cena, per gustare il cibo italiano. Due anni fa, ad esempio, è arrivato “un uomo sulla cinquantina, completamente calvo e con un fisico atletico. Gli ho chiesto se fosse uno dei tanti pedalatori della zona – ricorda Maico – visto che sono un grande appassionato di ciclismo: lui ride, senza fare una piega mi dice che lavora ad Amazon e che si chiama Jeff, e mi ringrazia per la cena e l’ambiente della serata”. Al Terún hanno pranzato anche Mark Zuckerberg e Larry Page, fondatori di Facebook e Google: “Hanno gradito molto la cucina italiana. C’era la fila per avere un autografo o una foto con loro, ma tutto si è svolto in maniera molto educata”.

Anche gli italiani sembrano riunirsi qui. “Non ho mai visto così tanti connazionali come in questo periodo negli Stati Uniti“, commenta Maico. Il piatto più richiesto, manco a dirlo, è la pizza. Un cliente su due la ordina, ogni giorno. Ma il menù offre anche pasta, carne o e lasagne. “Il rapporto con i clienti italiani è favoloso. Insieme ad altri ristoratori, poi, cerchiamo di collaborare attivamente”. La mentalità italiana, però, continua ad essere distante anni luce da qui: “Il vero problema è l’invidia: in Italia siamo incapaci di vedere il successo altrui come uno stimolo. Ed è un po’ come al Palio di Siena: vinci perché l’altro cade, non perché sei il migliore”.

“Il vero problema è l’invidia: in Italia siamo incapaci di vedere il successo altrui come uno stimolo”

Il locale è pieno, spesso prenotato per eventi privati: le cose sembrano andare bene. “Il 90% dei ristoranti nuovi in questa area geografica del mondo chiude dopo un anno di vita”, spiega Maico, che evita di fare paragoni con l’Italia. “Sicuramente oggi guadagno più di quanto guadagnavo a Trento, ma è pur vero che in questa zona un monolocale costa duemila dollari al mese in affitto: tutto è proporzionato”. Uno dei motivi del successo della ristorazione negli Usa è proprio la possibilità di avere lavoro a richiesta, on demand: “Nel nostro settore ci sono giorni in cui lavori di più e altri in cui lavori meno: è quindi giusto che i camerieri guadagnino in percentuale”, insiste il proprietario.

Perché Terún? “Dietro al nome del ristorante c’è la storia dell’Unità d’Italia – spiega Maico –. A Terún cerchiamo dopo 150 anni di sorridere alle pazze teorie di Cesare Lombroso sulla propensione ad essere criminali dei calabresi e delle loro fossette occipitali”, sorride. La famiglia si sta allargando. “Abbiamo acquistato un nuovo ristorante in zona, a 200 metri da Terún, lungo la stessa strada”. La trattativa è durata appena due settimane, il tempo di rilevare l’Oak fire & Barley, dopo l’accordo con il vecchio proprietario. Qui Maico, suo fratello e i suoi soci cercheranno di replicare un vero e proprio viaggio culinario, che risalga tutto lo stivale, in tutte le regioni. “È un po’ la nostra crescita culturale: l’obiettivo non è vendere cibo, ma la sua storia e le sue tradizioni”. Tornare? Per Maico Terún è un “mezzo per gridare al mondo quanto è bello essere italiano”. “E poi, qui, guadagno il triplo”, conclude.

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