La Corte di Cassazione si è pronunciata in merito alla validità delle firme raccolte dai comitati del SÌ e grazie alla settimana “guadagnata” è scampato il rischio del voto natalizio, anche se quasi certamente cadrà opportunamente durante l’approvazione della legge di Stabilità, entro l’ultima domenica di novembre.

La  raccolta delle firme tecnicamente assolutamente superflua, in quanto il referendum era stato votato per via parlamentare, è stata proficua non solo per il cospicuo finanziamento alla campagna elettorale del SÌ che Renzi si gioca con la Rai post nomine perfettamente allineata, ma anche come occasione di plateale esibizione di consenso. Quella soglia delle 500mila firme che è rimasta un traguardo irraggiungibile per i comitati del No, privi di qualsiasi finanziamento, banditi da ogni canale di informazione e svantaggiati, per una scelta miope, anche dalla contemporanea raccolta di firme per il cumulo di referendum abrogativi su scuola e Jobs act, è stato “agevolmente” raggiunto dalla propaganda governativa.

Il ministro Boschi dopo aver attribuito alla “sua” riforma, già ampiamente smontata e rimontata da vari revisori per cercare di ridurre il danno, ogni potere catartico e taumaturgico per il futuro del paese ora si sta concentrando sulla responsabilizzazione dei cittadini. E ripete all’infinito come non si tratti di un referendum consultivo e quanto potere si possa esercitare con un Sì o con un No: nel primo caso, naturalmente, si spalancano le porte alla luce della novità e dell’efficienza, nel secondo ci si condanna alle tenebre di un perenne immobilismo.

Peccato che i cittadini “decisori” se si azzardano a staccare la spina dal ritornello risparmio-funzionalità-velocità e mettono le mani e gli occhi sul testo rimangono attoniti, increduli e soprattutto totalmente all’oscuro dell’oggetto della decisione di cui sono signori assoluti, come ama ricordare il ministro per le riforme. Se l’ideale è che “una norma legislativa sia formulata in modo completo, comprensibile e senza rimandi” come aveva affermato Gustavo Zagrebelsky ben prima dell’avvento renziano, e se la chiarezza è parte integrante della trasparenza e della democrazia c’è una insuperabile pregiudiziale di “non comprensibilità” nella madre di tutte le riforme, prima ancora delle macroscopiche incongruenze tra “elettività” dei senatori, prerogative e funzioni del nuovo Senato.

Qualche giorno fa una decina di parlamentari del Pd tra cui Luigi Manconi avevano firmato un documento in cui chiedevano un ritorno all’esame nel merito del ddl Boschi sui punti più inaccettabili che ruotano attorno al pasticcio inestricabile delle funzioni legislative e all’immunità dei senatori non eletti dai cittadini. In mancanza di qualsiasi improbabilissimo intervento sulla riforma costituzionale avevano dichiarato di schierarsi apertamente per il No.

Oggi, quando la data del voto benché ancora lontana si profila,  da parte dei bersaniani e di Roberto Speranza ritorna la proposta di scambio tra il SÌ alla riforma Boschi tale e quale e una “revisione” dell’Italicum che peraltro non toccherebbe i nominati.

Al di là delle convenienze di Renzi di riaprire un tavolo sull’Italicum, eventualmente solo in funzione anti-M5S, si tratta di un baratto che finirebbe per screditare agli occhi degli elettori chi lo propone e per indebolire ulteriormente l’opposizione interna al presidente-segretario.

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