La Turchia è certamente un partner fondamentale per l’Europa. O per meglio dire la Turchia gioca un ruolo chiave per l’impostazione geopolitica che oggi prevale tra gli europei. Ankara dispone della possibilità di chiudere o riaprire la rotta balcanica dei migranti. In Medio Oriente consente alla Nato di arginare l’influenza di Mosca. E per dove è posizionata il suo contributo nella lotta al terrorismo non è sicuramente trascurabile. Perciò, guardando la faccenda da una prospettiva realista, non possiamo permetterci di fare troppo gli snob o gli schizzinosi riguardo la leadership turca.

Detto ciò, se anche volessimo infischiarcene dei diritti e delle libertà di chi ha la sfortuna di vivere al di fuori dei confini europei, il prezzo che l’Europa ha pagato nell’ultimo anno per salvaguardare le relazioni con Ankara sembra eccessivamente superiore ai vantaggi che ne ha conseguito. Innanzitutto, in poche mosse gli attuali leader europei hanno inflitto un colpo mortale alla narrazione di un’Europa che è orgogliosa di essere un baluardo dei diritti umani e un luogo di progresso sociale. Con l’accordo sui migranti abbiamo messo in piedi un respingimento di massa di richiedenti asilo politico. Abbiamo attribuito alla Turchia di Erdogan lo status di luogo sicuro, aggirando così le norme internazionali che ci avrebbero proibito di sbattere la porta in faccia a chi fugge da guerra e violenza.

Per non dovere alterare minimamente il nostro stile di vita e potere continuare a condurre un’esistenza distaccata dalla disperazione che scoppia tutto intorno, oltre i confini, e che noi abbiamo contributo a creare con la nostra politica estera dell’ultimo ventennio, abbiamo rispedito i richiedenti asilo in un Paese in cui negli ultimi anni le forze di opposizione, i mezzi di informazione, le università e i magistrati sono stati messi al centro di un’azione repressiva. Come giustamente osservato da Bridget Anderson in un articolo pubblicato su Fortune poco dopo l’annuncio dell’accordo sui migranti: “Per una generazione l’Europa si è avvolta in quello che oramai appare essere un mito: un Continente di decenza e diritti umani, consapevole del suo brutale passato, ma più maturo e più saggio, aperto a tutte le razze e le fedi, disposto a guidare il Mondo verso un futuro più aperto e più pieno di speranza”. In altre parole, tutto quell’apparato argomentativo sull’Unione Europea come spazio di libertà e opportunità, che è stato dispiegato in abbondanza nel dibattito sulla Brexit, è oggi se non addirittura inutilizzabile quanto meno minato alle sue fondamenta.

Poi è venuto il golpe. Più di 15.000 persone sono finite in manette, tra cui 234 accademici, oltre 2.000 magistrati e 100 giornalisti. Hanno dovuto chiudere i battenti 3 agenzie di stampa, 16 canali tv, 23 radio, 45 giornali e 29 case editrici. Inoltre con le leggi sullo stato di emergenza varate dopo il tentativo di golpe è estremamente difficile per gli arrestati provare la propria innocenza. Ma l’Unione europea continua a considerare la Turchia un luogo sicuro in cui spedire richiedenti asilo inermi.

Ogni forma di opposizione laica è stata zittita, i sostenitori di Erdogan si sono presi le piazze, i luoghi di protesta, che fino a poco tempo fa appartenevano ai loro antagonisti politici. In un interessante articolo pubblicato su OpenDemocracy Defne Kadioğlu Polat ha giustamente sottolineato come Erdogan dopo il fallito golpe abbia finalmente ottenuto il suo “Gezi Park”: è riuscito a dare una forte spinta all’agognata svolta presidenzialista riprendendosi allo stesso tempo il sostegno della sua gente. L’Unione europea ha lasciato completamente sola l’opposizione laica turca. Ha continuato a trattare con il governo di Ankara come se nelle ultime settimane non fosse accaduto nulla. Così facendo ha mostrato che nei rapporti con la Turchia non esiste nessun principio di condizionalità. Ankara può continuare a fare ciò che vuole nelle sue faccende interne, tanto Bruxelles continuerà ad avere bisogno del suo aiuto.

Vale poi la pena aprire qui una parentesi. La rotta balcanica dei migranti è ora chiusa anche perché i confini europei in quell’area sono stati sbarrati. Le terribili immagini di Idomeni dei mesi scorsi lo testimoniano. Quindi se l’accordo con la Turchia saltasse siamo davvero sicuri che un numero ingestibile di migranti si getterebbe lungo il confine con l’Europa pur sapendo che si troverebbe la strada sbarrata? Su questo punto non sembra esserci molta chiarezza.

A cosa ci ha portato tutto questo? Gli incentivi per un’inversione di marcia democratica e liberale in Turchia sono al minimo storico. Se i leader europei avessero posto dei paletti fissi sulle libertà fondamentali quale condizione minima per sedersi ad un qualunque tavolo di trattativa avrebbero forse potuto offrire una sponda a chi in Turchia si batte per la democrazia. Invece l’unica linea rossa che è stata imposta con chiarezza dopo il fallito golpe è la non reintroduzione della pena di morte. Come se questo fosse un sufficiente criterio di decenza per uno Stato. L’Unione Europea è scesa a compromessi, mettendo a rischio la sua stessa identità, e i vantaggi che ne ha ottenuto non sembrano bastare per far quadrare il bilancio.

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