Vivere di fotografia in Italia? “Ho provato per molto tempo a trovare il mio spazio ma mi sono scontrato contro una società incestuosa. Ho detto ‘incestuosa’ al posto di ‘nepotistica’, perché l’incesto porta a gravi conseguenze che probabilmente in Italia si possono vedere nella caduta di creatività e nella mancanza di fiducia in se stessi”. Da vent’anni Fiorenzo Borghi, che ha regalato i suoi scatti a Giorgio Armani e all’attrice Drew Barrymore (Charlie’s Angels e 50 volte il primo bacio), oltre ad avere tra i suoi clienti importanti firme della moda internazionale, ha il suo quartier generale a New York. Era il 1996 quando il fotografo, oggi 53enne, ha scelto di trasferirsi nella Grande Mela, dove dopo un periodo di gavetta, le chiamate dei clienti sono iniziare a moltiplicarsi. Tra i ricordi migliori dell’inizio della sua vita lavorativa a New York, liberarsi “da quella strana sensazione che in Italia ti instillano i datori di lavoro, ovvero quella di farti un favore ad offrirti un posto”. Perché Fiorenzo ha scelto di lasciare l’Italia soprattutto per “orgoglio professionale”. L’immagine è tremendamente efficace: “Mi sono sentito una persona a cui stavano buttando i resti del pollo e per cui avrei dovuto anche dire grazie”.

Quando si alza la mattina, Fiorenzo cammina nel suo loft sprofondando gli occhi nella più classica vista su Manhattan. Eppure la sua storia è iniziata molto lontano, in provincia di Como, ad Alzate Brianza. Una laurea in architettura mai terminata e una passione per la fotografia innescata da un regalo di suo padre. “Lasciati gli studi, trovai un fotografo che mi prese come assistente per 200mila lire al mese. Accettai per fare esperienza”. È il periodo della formazione, quello in cui Fiorenzo capisce di avere una predilezione per gli scatti di moda e pubblicità. Dopo i primi anni da assistente, arrivano le collaborazioni per stilisti, ma anche per Mondadori e Rizzoli.

“In Italia i datori di lavoro ti instillano una sensazione: quella di farti un favore a offrirti il posto”

“Ero riuscito ad entrare nell’ambiente della fotografia di moda e dell’editoria ma ho sempre avuto l’impressione, condivisa da diversi colleghi, che ci passassero dei lavoretti giusto per buonismo”. Economicamente a Milano Fiorenzo stava anche bene, “una briciola qui ed una briciola là facevo il panino”, ma dal punto di vista dell’orgoglio professionale “non avevo spazio per mostrare il valore del mio lavoro”. Inizia così, esattamente vent’anni fa, un viaggio di perlustrazione di due settimane negli Usa: una spedizione da cui il fotografo non avrebbe più fatto ritorno. “Mi dispiace vedere gli italiani smettere di rincorrere la propria passione per accontentarsi del semplice posto fisso”. Il confronto è spietato: “Per quanto mi riguarda, se fossi restato in Italia non avrei mai avuto le stesse opportunità”.

I primi anni a New York non sono stati facili. Era il 1996, quando il giovane fissava tutti i giorni appuntamenti per farsi conoscere. “Allora ci si incontrava ancora di persona”. Dopo 8 mesi, arrivano le prime chiamate da giornali e ditte. “Riuscii ad inserirmi in un team di cui facevano parte Michelle Lavery e Tony Jazzar, rispettivamente vice direttore e direttore creativo di Marie Claire”. Con loro, Fiorenzo Borghi ha iniziato a riempire il suo portfolio con scatti importanti, fotografando attrici statunitensi in situazioni particolari, dal corso di survival fatto con Cameron Diaz e Drew Berrymore a un viaggio nel circolo polare artico con Brooke Shields (modella americana). “Ringrazio MichelleTony per avere dato fiducia ad un brianzolo qualunque che entrò una mattina nel loro ufficio”.

“In Italia non avevo spazio per mostrare il valore del mio lavoro”

La grande mela come patria non solo di fotografi, ma più in generale di creativi. “A New York sono riuscito a fare cose che a Milano sarebbero state difficilissime a causa di burocrazia e permessi”. Il comune di New York, infatti, ha un ufficio gratuito dedicato esclusivamente alle produzioni artistiche. “Una volta feci dipingere quattro angoli di una strada includendo marciapiedi, cartelli e muri. La polizia passando mi disse che se i padroni erano d’accordo avrei potuto lasciare tutto così. Per loro era un abbellimento”. Un’altra volta, per preparare il set di un servizio fotografico, Fiorenzo ha chiesto di portare quattro dromedari a Times Square. “Fui chiamato dal Comune per un appuntamento con il capo del dipartimento. Mi presentai, mi fecero sedere in uno di quei tavoli lunghissimi e poi mi dissero: ‘Volevamo solo vedere se eri una persona affidabile’. Poi mi dissero gli orarinorme di sicurezza. Basta, nemmeno un poliziotto sul posto per controllare”.

Ma lasciare il proprio paese non è semplice. “È un po’ come abbandonare la tua famiglia”. E infatti Fiorenzo Borghi, pur vivendo all’estero, non ha mai dimenticato l’Italia. Forte del suo portfolio americano, dopo qualche anno negli States ha provato a ripresentare alcune candidature in Italia, questa volta mettendo sulla scrivania un curriculum più forte e pieno di lavori con celebrity. “L’accoglienza ricevuta era del tutto diversa – ricorda il fotografo milanese – Io ridevo sotto i baffi e mi chiedevo: ma non solo la stessa persona che un paio di anni fa ti aveva chiesto lavoro per restare in Italia?”. A dire la verità, il fatto di essere riuscito a trovare collaborazioni con l’Italia solo dopo avere avuto esperienze negli Stati Uniti, “mi ha sempre lasciato un po’ di amaro in bocca”.

“Essere riuscito a trovare collaborazioni in Italia solo dopo l’esperienza in Usa “mi ha sempre lasciato l’amaro in bocca”

Non pensa a un futuro nel Belpaese, forse perché di futuro non vuole parlare. Sono i vezzi degli emigrati, di chi è abituato a spostarsi e a vivere con una valigia in mano. Eppure, anche quando l’orizzonte davanti alla tua finestra diventa da decenni una terra straniera, la mente torna facilmente a dove si è cresciuti. “Un giorno stavo parlando con dei vecchi immigrati italiani sui 70 anni, persone che arrivarono in America da giovanissimi. Non scorderò mai la frase che uno di loro mi disse: ‘Noi abbiamo passato i due terzi della nostra vita qui all’estero – chiude Fiorenzo con un sorriso – ma parliamo sempre di quel terzo passato in Italia‘”.

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