Magistrati e giuristi impegnati a studiare come ridurre i tempi biblici dei processi concordano nel chiedere l’introduzione delle notifiche via posta elettronica certificata ai difensori di imputati e indagati, invece di mobilitare fisicamente per ogni atto gli ufficiali giudiziari. Un emendamento che dopo anni di insistenza introduceva questa novità tecnologica è arrivato in commissione giustizia al Senato, dove si discute la riforma del diritto penale, famosa per contenere anche i nodi spinosi della prescrizione e delle intercettazioni. I centristi di Area popolare – leggi gli alfaniani – l’hanno stoppato e hanno ottenuto il rinvio a una futura delega al governo. Con l’appoggio di Forza Italia e l’avallo finale del Pd.

“L’emendamento proponeva di passare da un sistema di notifiche del Medioevo a un sistema da epoca moderna, mantenendo naturalmente le garanzie”, spiega a ilfattoquotidiano.it il senatore Pd Felice Casson, vicepresidente della Commisione. E, in quanto relatore insieme al collega di partito Giuseppe Cucca, firmatario della proposta di modifica. “La novità poteva entrare direttamente nel ddl in discussione, ma il blocco di Ap ci ha consigliato di ritirare l’emendamento e rimandare la questione all’aula”.

I centristi hanno festeggiato la vittoria: “Area popolare esprime soddisfazione per il ritiro da parte dei relatori dell’emendamento relativo alle notifiche degli atti giudiziari inserito nella riforma del processo penale”, ha fatto sapere il senatore Bruno Mancuso. “Avevamo chiesto con forza lo stralcio perché qualora questa proposta emendativa avesse avuto corso avrebbe determinato problemi riguardo la conoscibilità dei capi d’imputazione, con un’evidente compressione dei diritti dell’imputato“.

L’emendamento 16.0.1000 presentato da Casson e Cucca sarebbe andato a modificare fra gli altri gli articoli 148 e 156 del codice di procedura penale che regolano appunto le notifiche degli atti giudiziari. L’effetto combinato prevedeva che solo il primo atto di un’inchiesta venisse notificato “mediante consegna di copia alla persona”. Per tutti i successivi sarebbe bastata la “posta elettronica certificata”, all’indirizzo indicato dal difensore. Poche righe che avrebbero permesso di superare un sistema che allunga i tempi dei processi e costa parecchio al contribuente. Ma Ap ci ha visto una “compressione dei diritti dell’imputato” e non se ne è fatto nulla. E così la piccola grande rivoluzione delle notifiche finisce ostaggio dei centristi, come del resto la prescrizione, che “sarà difficile riformare con questa maggioranza”, profetizza Casson. La semplice soluzione di fermare il tempo dopo un determinato atto, per esempio la condanna in primo grado, non passerà mai il muro alfaniano, mentre è la regola “sia in Paesi anglosassoni sia in Francia e Germania”, commenta l’ex magistrato. “Quelli anomali siamo noi”.

Eppure il suggerimento di abbandonare il Medioevo per approdare ai tempi nostri è arrivato tempo fa proprio da una commissione di nomina governativa (epoca Letta) di cui faceva parte fra gli altri l’attuale procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri, già ministro della Giustizia in pectore del governo Renzi e grande supporter delle notifiche via pec come medicina per snellire i processi e risparmiare denaro pubblico. “In primo luogo”, si leggeva nella relazione della commissione firmata dal presidente Roberto Garofoli, “si ritiene necessaria l’utilizzazione di strumenti informatici, in specie rendendo obbligatoria la posta elettronica certificata per tutti gli avvocati iscritti al relativo albo professionale e prevedendo che le notifiche degli atti siano effettuate attraverso tale strumento”. Data: gennaio 2014.  L’era moderna può attendere.

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