Le storie, nel loro orrore, rivelano sofferenze tenute nascoste per decenni. “Quel prete creava intorno a se una piccola corte… mi baciava sulla bocca… Ogni sabato, alle riunioni, dovevamo fuggire le sue attenzioniDurante un pellegrinaggio a Fatima ha tentato di stuprarmi in tenda… Molti genitori non ci credevano e ci dicevano di non parlare così di un prete… Io sono stato abusato…  era un personaggio autoritario e carismatico”. Seduto nell’ufficio di una piccola impresa edile di Lione, ascolto il giovane imprenditore François Devaux, trentasettenne, Alexandre Hezez-Dussot, operatore finanziario quarantasettenne, Bertrand Virieux, cardiologo quarantaquattrenne.

Una minuscola pattuglia degli abusi di massa, di cui è responsabile il prete Bernard Preynat per lunghi anni guida riverita di scout cattolici. Ben sessantasette sono le vittime di questo predatore negli anni dal 1979 al 1991, che ancora nel 2015 esercitava tranquillamente il suo ministero sacerdotale nella diocesi di Lione. Come se niente fosse accaduto. Quando i tre hanno scoperto l’ampiezza degli abusi, hanno fondato l’associazione La Parole liberée (La Parola liberata) e hanno chiesto invano di essere ricevuti dal Papa.

Scrivo sul taccuino la cifra: 67. Perché bisogna immaginarsele in fila una dopo l’altra, a riempire una stanza, le vittime adolescenti di quelle che papa Francesco ha chiamato una volta le “messe nere” degli abusi, vittime mai risarcite, mai raggiunte dalla notizia che il colpevole era stato punito. Anche François, Alexandre e Bertrand non potevano credere alla sistematicità di questi abusi, finché lo scandalo quest’anno non è scoppiato a Lione ed è diventato materia di discussione in tutta la Francia.

Realizzare una riforma radicale – come quella di superare la pratica secolare degli insabbiamenti, portare alla luce gli abusi, punire in maniera esemplare gli stupratori e mettere finalmente al centro le vittime come chiedeva Benedetto XVI già nel 2010 – è un’opera che non può essere compiuta soltanto in Vaticano. Quando si tratta di cambiare mentalità e prassi delle gerarchie ecclesiastiche nei cinque continenti i papi sono molto meno sovrani di quanto si creda.

Francesco si è impegnato sin dalla sua elezione. Già nel luglio 2013 ha inasprito nel codice penale vaticano le sanzioni contro la violenza sessuale e il possesso di materiale pedopornografico. Nel 2015 ha creato una sezione giudiziaria speciale presso la Congregazione per la Dottrina delle fede, dove si possono denunciare per “abuso d’ufficio” i vescovi negligenti nel perseguire violenze sessuali nelle proprie diocesi. Per guidare la sezione Francesco ha istituito un Segretario aggiunto della Congregazione, incaricato di occuparsi unicamente della questione. Infine, poco più di un mese fa il papa ha stabilito le procedure per rimuovere i vescovi, che non si sono attivati per colpire gli abusi e per loro negligenza abbiano causato un “grave danno ad altri”.

Insomma, la cornice giuridica per perseguire in ogni modo i colpevoli di abusi e i vescovi, che non intervengono tempestivamente, c’è tutta. Ma fare le leggi è solo il primo passo. Serve che nell’ambito delle diocesi e soprattutto delle conferenze episcopali – nello spirito di decentramento perseguito dal pontefice – si metta in atto una politica rigorosa di attuazione delle norme.

Il caso scoppiato nella diocesi di Lione è particolarmente illuminante. I crimini del prete Preynat sono stati commessi prima dell’insediamento dell’attuale vescovo, il cardinale Philippe Barbarin arrivato in diocesi nel 2002. Ma fin dall’inizio la vicenda ha lo stigma del classico insabbiamento. Il suo predecessore cardinale Albert Decourtray, allertato da alcuni genitori, allontana Preynat dalla sua parrocchia promettendo che non avrà più a che fare con adolescenti. Di fatto Preynat finisce in una zona di campagna, naturalmente a contatto con dei giovani. “Ancora nel 2014 – racconta Alexandre Hezez-Dussot – Preynat stava con bambini: era attivo come cappellano della scuola Saint Marc a Cour la Ville e lavorava nel patronato St.Claire di una colonia estiva a Coteau. Ne ho informato personalmente il cardinale Barbarin”.

Già, il cardinale Barbarin. Mentre guida la diocesi, non si ha notizia di nessun crimine commesso da Preynat. Il prete gli ha promesso che il passato gli fa schifo ed è una pagina chiusa. Ma il cardinale non lo ha denunciato all’autorità giudiziaria come la legge francese espressamente esige. Sulla data relativa al momento in cui sarebbe venuto a conoscenza dei reati di Preynat (naturalmente tutti prescritti tranne quattro), Barbarin è stato contraddittorio. Prima ha affermato di averlo saputo solo nel 2014, poi ha dichiarato che era successo nel 2007 (e in tal caso potrebbe cadere in prescrizione la sua mancata denuncia). In ogni caso i suoi critici si domandano perché abbia atteso soltanto il 2015 – dopo un intervento del Vaticano, a cui si era rivolta una delle vittime – per allontanare il prete predatore da ogni incarico. Perché tra i tanti controsensi della vicenda c’è anche che Preynat era stato nominato a capo di un decanato e a far parte del Centro di formazione dei laici della diocesi di Lione (Sedif).

A maggio il Papa ha dichiarato al giornale cattolico francese la Croix che Barbarin aveva preso le “misure necessarie” e lo aveva definito una personalità “coraggiosa, creativa, missionaria”. Ma dinanzi alla conferenza episcopale francese restano tre interrogativi pesanti: 1. Può un cardinale violare la legge? 2. Non è un pessimo precedente lasciare in attività sulla parola chi ha commesso abusi su minori, sapendo che quasi sempre sono criminali seriali? 3. Mettere tutto nel dimenticatoio, non è un modo di denegare giustizia alle vittime?

Giugno scorso il cardinale Barbarin è stato interrogato per dieci ore dalla polizia di Lione per potenziale “messa in pericolo della vita altrui”. La vicenda continua.

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