Per chi non avesse avuto ancora chiaro chi conduce le danze del post Brexit, basta guardare la foto in alto. Due donne, che sono anche i due capi di governo più potenti d’Europa, che si sorridono e sembrano vecchie amiche, anche se ieri si sono incontrate per la prima volta. Due donne alle quali è appeso il futuro di quel che rimane della Unione europea dopo il voto del referendum inglese.

Al di là delle parole, guardiamo i fatti:

1) Non negozieremo. Nel suo primo viaggio internazionale Theresa May non è andata a Bruxelles, ma a Berlino. Oggi sarà a Parigi, per parlare con Hollande. E’ passata bellamente sulla testa di Junker e degli altri più o meno inutili euroburocrati, impantanati nel loro gracchiare inconcludenti (basta guardare l’inerzia nel gestire la crisi turca). Junker aveva dichiarato: noi non trattiamo finché il Regno Unito non chiederà l’articolo 50 e quindi attiverà la procedura formale per uscire dalla Ue. Ieri Merkel ha ribadito la regola europea (che altro poteva fare in pubblico?) dichiarando: “Solo dopo la richiesta dell’art. 50 inizieranno negoziati formali. Oggi parliamo di art. 50 e di questioni connesse, senza avere formali o informali negoziati”. Ergo, stanno già trattando. I negoziati sono già iniziati.

2) Fuori subito. All’indomani del voto del 23 giugno, Junker aveva detto: “Gli inglesi adesso subito via dalla Ue”. Le due donne che contano ieri cosa si sono dette? Che il Regno Unito non andrà via subito dalla Ue. May ha detto che non chiederà l’articolo 50 finché la posizione negoziale della Uk non sarà chiara. Quindi sicuramente non prima della fine del 2016. E poi chissà, dipende dagli accordi informali che la task force già al lavoro, composta da avvocati d’affari, esperti di commercio internazionale e i più pagati consiglieri delle grandi banche d’affari della City (5mila sterline al giorno di parcella i senior, mille i junior) avranno prodotto da qui a Natale. E Merkel ha dato ragione alla May: “E’ giusto che prendano tempo”, anche se è nell’interesse di tutti che questa incertezza non si trascini troppo a lungo.

3) Prendere o lasciare. All’indomani del referendum Angela Merkel ha dichiarato che la Gran Bretagna non può fare con l’Ue il cherry picking, ossia scegliere solo le ciliegie più mature del paniere, scegliere quello che gli sta bene e lasciare quello che non gli va. Se la Uk vuole stare nel mercato unico (la ciliegia matura) si deve prendere anche la libera circolazione delle persone (la ciliegia marcia). Questo è il vero nodo da sciogliere. Su questo May è stata molto chiara: “Il voto è stato chiaro. Brexit significa che i britannici vogliono limitare gli accessi dei cittadini europei in Uk”. Ma le due donne hanno anche convenuto che bisogna cercare il giusto accordo per il commercio di beni e servizi. Il come è la vera questione sul piatto.

4) Gliela faremo pagare. In Italia c’è un po’ questo sentimento di fargliela pagare. Un novello “Dio stramaledica gli inglesi” che non portò molto bene in passato e dovremmo ricordarcene. Un misto di revanchismo nazionalista e di frustrazione per un paese che è sempre stato trattato con i guanti di velluto. Merkel ieri ha chiarito che la Germania non vuole farla pagare alla Gran Bretagna. “Abbiamo gli stessi valori, siamo nella Nato, siamo nel G20, nel G7. Uk e Germania hanno lavorato bene insieme nella Ue finora e questo sarà lo spirito delle relazioni nei prossimi mesi”. Per chi in Italia ancora non l’avesse capito, sperare di farla pagare alla Uk significa pagare tutti. Specialmente i paesi più deboli della Ue, e quindi Italia in testa.

5) Devono finire male. Anche questo è un sentimento che è iniziato a circolare. La chiosa è: se la Gran Bretagna fuori dalla Ue avrà successo, si innescherà un processo a catena, altri vorranno uscire e sarà la fine della Ue. Il ragionamento ha un suo fondo di verità, ma non tiene conto di due fatti fondamentali. Il Regno Unito non è mai stato nella moneta unica. E non ha mai aderito a pieno agli accordi di Schengen: è sempre servito un documento per entrare nell’isola. La Gran Bretagna è sempre stata dentro, ma anche fuori. Ha sempre avuto una sorta di “statuto speciale”, anche prima della decisione di lasciare formalmente la Ue. Perché gli è stata concessa questa posizione di privilegio? Perché un’Europa senza Regno Unito è molto più debole: militarmente, politicamente, commercialmente. “Noi vogliamo uscire dalla Ue ma non scapperemo dai nostri amici europei” ha detto la May. Cosa significa lo capiremo nei prossimi mesi.

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