Se vuoi che il “Paese reale” degli amanti del rock alternativo e del cantautorato più raffinato si riunisca in una sola piazza, in un solo festival, puoi contare solo su una rosa di nomi assai ridotta. Se poi la piazza in questione è quella del Pistoia Blues, bisogna fare anche i conti con una certa tradizione che vede la cittadina toscana da due generazioni ormai proiettata nel circuito dei live che contano. Non ci sono dubbi, quindi, che la migliore scelta che si potesse fare per tenere insieme il tocco della poesia e la potenza dei decibel fosse la presenza, quest’anno, di nomi come The National, Father John Misty e Damien Rice: tutte date uniche italiane. Né l’afa né i chilometri hanno fermato i migliaia di fan arrivati martedì e sabato scorso a Piazza Duomo da ogni parte d’Italia. Sono facce forse un po’ diverse rispetto a quelle che normalmente si vedono a Pistoia, si tratta infatti di quell’avanguardia da “Primavera Sound” che ogni tanto si materializza in qualche altra parte d’Italia: talvolta all’Ypsigrock oppure al Mi Ami, per citarne solo alcuni.

Il primo a farsi notare in questo trittico è stato Father John Misty, al secolo Josh Tillman. Per i più navigati dell’indie-folk il suo nome era legato alla batteria dei Fleet Foxes, ma il nostro ha avviato già da diversi anni una meravigliosa rinascita come solista. Si è presentato sul palco impregnando il suo set con soluzioni folk-blues acide, persino con le ballad dell’ultimo album “I Love You, Honeybear”. È stato uno show totale, interamente incentrato sulla sua persona, dai balletti alle cadute in ginocchio sul palco, catturando ben presto i favori del pubblico presente.

Un muro sonoro imponente è stata invece la cifra dominante dei National. Matt Berninger, carismatica voce baritonale della band, era accompagnato come sempre dalla doppia coppia dei fratelli Dessner e Devendorf, più un sesto elemento di rinforzo. La setlist si è srotolata in modo serrato pescando tra i cavalli di battaglia come Bloodbuzz Ohio, Slow show e Fake Empire ma anche tra alcune new entries come Sometimes I don’t think e The lights, tracce papabili per il loro prossimo lavoro. Ma soprattutto c’è la “prima” europea di Peggy-O, un tributo in salsa “nazionale” ai Grateful Dead. Attorno a noi la gente limona, pomicia e balla come se fosse una discoteca anni ’90. Poi sulle note di “Terrible love”, il frontman ha attraversato l’intera piazza, sfidando persino la lunghezza del filo del microfono e mantenendo l’intonazione anche sotto l’assedio della folla. Chi immaginava i National come timidi cantanti di canzoni tristi per “dirty lovers” si è dovuto ricredere: sono animali da palco che non disdegnano la prova muscolare per la ricerca del divertimento, il loro e quello dei fan.

Damien Rice, giunto a Pistoia sabato sera, ha regalato un live ad assetto variabile. Solo con le sue chitarre su un palco davvero troppo grande per un’unica persona, ha fatto in modo che la sua stessa voce, la romantica spiritualità che trasuda, suonasse come un’intera orchestra. Mentre scorrevano alle nostre orecchie capolavori come My favourite faded fantasy, 9 crimes, Delicate, il cantautore irlandese è riuscito a trasformare una piazza stracolma in un ambiente intimo, grazie anche alle sue capacità di storyteller. Era come trovarsi con un vecchio amico che davanti ad una pinta di scura ti parla del suo passato. Infine la sua capacità di costruire la setlist sulla base delle richieste del pubblico, che a gran voce ha reclamato The rat within the grain ed Insane. Sembrava che con l’esecuzione di Volcano si dovessero spegnere le luci sul festival. E invece no.

Il generoso Damien all’una di notte ha regalato un secondo concerto, ormai una sorta di rito che gli appassionati aspettano ad ogni sua data. E così pezzi come Eskimo e I Don’t Want To Change You si sono trasformate in un coro collettivo trascinato da Rice. Infine, una sorpresa nella sorpresa: al cantautore si è unita la voce di Francesca Michielin, anche lei presente al concerto, che così ha potuto realizzare il suo sogno di duettare con il suo idolo. Lei, più di tutti, non dimenticherà quest’edizione del Pistoia Blues che, più dei fasti dello show, ha fatto brillare la sostanza del contatto emozionale e fisico tra pubblico e artisti.

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