Il giorno della strage a Dacca, lo studente di 22 anni Tahmid Hasib Khan era appena arrivato in città. Ha raggiunto due amici e insieme sono andati a cercare del cibo da asporto nel locale del quartiere diplomatico Holey Artisan Bakery. Pochi minuti dopo era tra gli ostaggi del commando che ha fatto venti morti: Tahmid è sopravvissuto, ma invece di essere portato in ospedale per i controlli è stato fermato dalle forze dell’ordine come sospetto complice dell’attentato. A raccontare le ultime ore del ragazzo sono gli amici che studiano con lui in Canada.”E’ un grandissimo malinteso”, raccontano a ilfattoquotidiano.it chiedendo di restare anonimi. “Tahmid non ha niente a che fare con gli autori del massacro. La polizia ha fermato la persona sbagliata: i familiari non hanno sue notizie da quasi una settimana”.

13626432_10153509568721222_4505079890378766919_n22 anni, studente di Global Health all’Università di Toronto, è originario del Bangladesh e vive in Canada dal 2006. A casa ci era tornato per qualche giorno per festeggiare insieme alla famiglia la fine del Radaman e sarebbe dovuto ripartire già il 9 luglio: “Era di passaggio prima di spostarsi in Nepal per uno stage all’Unicef“, spiegano. “E’ un ragazzo che vive e studia all’estero. I suoi valori sono quelli della pace e del dialogo, come potrebbe essere accusato di aver fatto parte di quel gruppo di terroristi?”. La preoccupazione dei familiari riguarda anche le condizioni di salute del ragazzo: “Soffre di epilessia. Temiamo che sia in una situazione di stress e che possa avere delle crisi. Non è stato visto da un medico dopo essere stato in ostaggio e l’unica cosa che ha riferito è stata quella di aver avuto un cambio di vestiti”.

Insieme a Tahmid sono state fermate anche altre due persone. Di uno di questi le forze dell’ordine si rifiutano di diffondere il nome, mentre il terzo è Hasnat Karim. Si tratta di un professore universitario con cittadinanza inglese che lavora in Bangladesh come consulente per un’azienda. Tutti e tre, secondo le ricostruzioni del New York Times, erano nel gruppo degli ostaggi e sono stati interpellati direttamente dagli attentatori perché musulmani. Questo avrebbe, sempre secondo le testimonianze dei sopravvissuti, alimentato il malinteso. Su tutti e tre, otto giorni dopo l’attacco, non si hanno ancora informazioni ufficiali.

Amici e parenti hanno lanciato una campagna online per chiedere che Tahmid venga liberato al più presto. Su Facebook il gruppo @FreeTahmid cerca di raccogliere articoli e testimonianze che provino l’estraneità dello studente all’attacco. “Siamo fiduciosi nella verità”, si legge nell’appello pubblicato online, “e speriamo che il nostro amore possa guarire le ferite di quella notte”. Gli hashtag diffusi su Twitter sono #FreeTahmid o #WeAreTahmid e a decine stanno mandando messaggi perché “tutti conoscano la verità”. I compagni di scuola ad esempio hanno pubblicato foto del ragazzo mentre gioca a calcio, suona la chitarra o mentre svolge attività con la sua associazione studentesca. E tutti ripetono come un ritornello la stessa storia: “E’ la persona sbagliata, al momento sbagliato, nel posto sbagliato. Liberatelo”.

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