Otto bottiglie da circa un litro. Riempite con liquido incendiario e già innescate. Piazzate nella notte in un cantiere del Mose di Venezia nell’isoletta artificiale. Chi le ha messe ha approfittato della bassa marea ed è arrivato in barca o a piedi da una vicina spiaggia. Con un obiettivo preciso: danneggiare il sito della grande opera che deve difendere il capoluogo veneto dalle acque alte. Un obiettivo che sarebbe stato raggiunto se gli operai arrivati a lavoro non avessero reciso l’innesco.

Sull’episodio è stato aperto un fascicolo dal procuratore aggiunto di Venezia, Adelchi D’Ippolito, con delega per il terrorismo. La principale pista seguita è quella dell’attentato, anche se al momento non sono arrivate rivendicazioni. Non è comunque esclusa l’ipotesi di un possibile collegamento con episodi di ritrovamento di materiale incendiario lungo le linee ferroviarie nei mesi scorsi. E’ probabile che domani venga effettuato un sopralluogo nel cantiere, mentre le bottiglie saranno probabilmente consegnate ai Ris di Parma per una analisi dettagliata. Il materiale incendiario era ripartito in tre aree in corrispondenza di tre macchine da lavoro all’interno del cantiere di una della grandi ditte impegnate nella realizzazione delle opere per il Mose. Quattro bottiglie sotto una motopala, due sotto un gru e altre due sotto un’altro mezzo. Tutte in corrispondenza dei serbatoi. Secondo gli investigatori, l’intenzione degli attentatori era quella di far incendiare le bottiglie e distruggere i mezzi. Meno probabile, anche se non va esclusa a priori, la possibilità di colpire anche le persone nel caso gli incendi si fossero propagati durante l’orario di apertura.

Il rinvenimento avviene nel giorno in cui al processo Mose sul presunto giro di mazzette viene ascoltato in aula uno dei grandi accusatori, l’ingegnere Piergiorgio Baita. L’ex ad di Mantovani compare come testimone chiave per ricostruire quello che secondo gli inquirenti era il sistema ideato da Giovanni Mazzacurati, l’ex presidente del Consorzio Venezia nuova (Cvn), concessionario unico per la realizzazione del sistema Mose per la difesa di Venezia dalle acque alte, per ‘comprare’ amici e sostenitori.

L’udienza si è aperta con un’accesa polemica tra alcuni difensori degli otto imputati e la Procura accusata, secondo loro, di non aver messo a disposizione tutti gli atti dell’inchiesta dei brogliacci e parte delle intercettazioni. I legali hanno chiesto la sospensione del processo mentre la Procura ha sostenuto che quanto non consegnato era irrilevante e poteva ledere l’immagine, se rese pubbliche le intercettazioni, di persone estranee ai fatti. Il collegio, presieduto dal giudice Stefano Manduzio, dopo una camera di consiglio, ha deciso che tutti gli atti devono essere consegnati ai legali e che il processo, nel frattempo, va avanti.

E’ entrato così in scena Baita che ha ribadito, nella prima parte dell’escursione del teste da parte del pm Stefano Ancillotto – presenti anche l’aggiunto Carlo Nordio e il pm Stefano Buccini – come Mazzacurati fosse il “padrone” del Cvn asservendo allo stesso le varie aziende. Baita ha quindi confermato come per partecipare ai lavori bisognasse dare il 12% degli utili e restituire circa il 50% del denaro ottenuto dal Cvn in lavori. Tutti fondi per creare ‘nero’ che sarebbero serviti a Mazzacurati per “acquisire consenso” sul fronte politico. Da qui, i finanziamenti illeciti che hanno portato tra gli imputati l’europarlamentare di Fi Amalia Sartori, che oltre ad ottenere denaro avrebbe anche imposto l’assunzione in un ramo del Cvn di Claudia Minutillo, ex segretaria dell’ex governatore del Veneto Giancarlo Galan, tra i prossimi testimoni della vicenda.

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