“Gli stessi diritti che le persone hanno offline, devono loro essere riconosciuti anche online”. Si apre così la risoluzione approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite lo scorso 30 giugno intitolata “Promozione, protezione e godimento dei diritti umani online”. La natura globale ed aperta di Internet deve essere riconosciuta “come forza trainante per uno sviluppo sostenibile” sociale, culturale, economico e politico della comunità internazionale. La libertà di informazione, anche attraverso la Rete, deve essere promossa e protetta come diritto fondamentale dell’uomo e deve essere respinta e censurata ogni iniziativa governativa volta a censurare o limitare l’accesso a Internet.

Sono queste le risposte forti, corali e condivise (la risoluzione è stata fortemente voluta da oltre ottanta governi, ndr) dell’Onu alle tante, anche recenti, iniziative di altrettanti governi, in giro per il mondo, volte a spegnere Internet per soffocare la circolazione di idee, opinioni o contenuti.

L’ultima, in ordine di tempo, la decisione del governo di Algeri di impedire a quasi 20 milioni di persone di utilizzare i social network per un’intera settimana nel tentativo di evitare che la rete fosse usata per falsare i risultati degli esami di maturità, lasciando circolare tracce, domande e risposte vere o presunte. Ed è secca ed inequivocabile la posizione delle Nazioni Unite: non è questa la strada, non può esserlo, non deve esserlo.

Qualsiasi iniziativa di governo che riguardi la Rete, ivi incluse quelle assunte a tutela della sicurezza interna ed internazionale, deve essere assunta muovendo da un approccio rispettoso dei diritti umani, offiline come online, e tra tali diritti, in cima alla lista, deve esserci quello alla libertà di informazione online.

Vietato vietare di usare Internet. Vietato arrestare e censurare blogger e chiunque usi la rete per diffondere informazione libera. Indispensabile, al contrario, investire in cultura ed alfabetizzazione al digitale per superare i tanti digital divide che ancora si registrano in giro per il mondo, per superare ogni discriminazione di genere e di razza, sociale ed economica. L’accesso alla Rete deve continuare a rappresentare un elemento forte e vibrante capace di generare sviluppo economico, sociale e culturale. Tocca agli Stati, secondo le Nazioni Unite, dotarsi di una regolamentazione capace di assicurare ai propri cittadini l’accesso universale a Internet come diritto fondamentale.

Non è difficile scorgere tra le righe della risoluzione appena approvata dall’Onu il medesimo patrimonio genetico nel quale affonda le sue radici la Dichiarazione dei diritti in Internet approvata lo scorso 3 novembre 2015 dal Parlamento italiano. Una conferma che la strada intrapresa dal nostro Paese, almeno nel fissare i principi ai quali ispirarsi nel governo delle cose della Rete, è quella giusta e che quella strada va percorsa senza esitazioni, fino in fondo e con determinazione.

Quella Dichiarazione, forse troppo spesso sottovalutata da media, opinione pubblica e, soprattutto, da buona parte delle Istituzioni potrebbe, invece – a leggere la risoluzione che ha appena messo d’accordo oltre 80 tra i governi più influenti della comunità internazionale – rappresentare un’occasione più unica che rara, per il nostro Paese, di assumere la leadership della comunità internazionale nel fissare, una volta per tutte, i principi fondamentali nei quali gli Stati devono riconoscersi nel governo della Rete se si vuole, per davvero, che Internet rappresenti quella straordinaria occasione di rinascimento dei diritti che, almeno in potenza, potrebbe, certamente, costituire.

E’ un primato da non lasciarci sfuggire. L’Italia culla ultrasecolare di civiltà e cultura giuridica potrebbe tornare ad essere protagonista nel guidare buona parte del mondo nell’individuazione di quei principi che, in un’era così prepotentemente dominata dalle tecnologie, soli possono orientare la comunità internazionale verso un futuro socialmente, economicamente e democraticamente sostenibile.

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