“Un rigore ha bisogno di tutti gli ingredienti che compongono il calcio, tuttavia le sue leggi non sono quelle del gioco. È un’azione primaria che non esprime ma semmai mutila il calcio e che, ciò malgrado, non riduce ma concentra le emozioni”. Nelle parole di Jorge Valdano, bandiera del Real Madrid, compagno di Maradona, molto più che un semplice giocatore, c’è la teorizzazione filosofica dell’essenza del calcio di rigore. Anche se probabilmente la Uefa e gli organizzatori degli Europei non avevano pensato a tanto quando decisero di introdurre i calci di rigore per decidere il vincitore in caso di pareggio. Successe esattamente 40 anni fa e il calcio moderno ancora ne porta i segni.

Euro 1976 è il primo grande torneo internazionale in cui vengono utilizzati i rigori dopo i supplementari. Prima di allora, in caso di parità al termine dei 120 minuti, si era soliti ripetere la partita. O addirittura ricorrere alla monetina, come nel 1968, quando l’Italia riuscì a vincere i suoi primi e unici Europei grazie a un sorteggio fortunato in semifinale contro l’Urss. Secondo alcuni fu un dirigente israeliano, tale Yosef Dagan, a proporre questa soluzione, proprio dopo che la sua nazionale aveva perso le Olimpiadi di Città del Messico per il lancio di una monetina. Da altri l’idea è attribuita all’ex arbitro tedesco Karl Wald. Comunque sia andata, nel 1970 l’adozione da parte dell’International Board come atto conclusivo ultimo di una partita fu una svolta storica. E abbastanza controversa.

Il rigore esisteva da sempre nel gioco del calcio: inventato già a fine Ottocento dall’irlandese William McCrum, probabilmente sul modello della trasformazione della meta nel rugby, fu tirato per la prima volta il 14 settembre del 1891, durante Wolverhampton-Accrington del campionato inglese; nel 1930 era arrivato anche ai Mondiali (in Francia-Cile 0-1). Sempre e solo come punizione di un fallo, però. Affidare ai penalty il risultato finale di una partita era un passo che non convinceva tutti. Le prime competizioni a convertirsi alla novità furono la Coppa dei Campioni e la Coppa delle Coppe. Ma non le nazionali. E così, con questa incertezza, si arrivò al 20 giugno 1976: Germania Ovest-Cecoslovacchia, finale dei Campionati europei in Jugoslavia. Alla vigilia del fischio d’inizio, la Uefa aveva in realtà previsto la possibilità della ripetizione in caso di pareggio: all’arbitro gallese Clive Thomas (che aveva già diretto la semifinale tra Cecoslovacchia e Olanda tra mille polemiche) era addirittura stata pagata una notte in più in albergo, per essere a Belgrado il giorno dopo in caso di bisogno. Ma le due Federazioni preferirono l’opzione dei rigori: dopo il doppio vantaggio cecoslovacco e la rimonta tedesca, la partita finì proprio a 2-2. E l’arbitro italiano Sergio Gonella si trovò ad applicare per la prima volta il nuovo regolamento dei rigori, che premiarono a sorpresa la Cecoslovacchia grazie al tiro decisivo di Antonin Panenka, passato alla storia per l’invenzione del cucchiaio.

Da allora – da quella edizione di Euro ’76 – nulla è stato più come prima. I rigori hanno ispirato aforismi, libri, canzoni, film. Hanno resistito ad altre innovazioni balorde, come quella a stelle e strisce degli shoot-out. Hanno creato miti di portieri para-rigori e distrutto campioni maledetti. Sono diventati epica dello sport. Alimentando un dibattito infinito: insana lotteria o sublime duello calcistico? Un verdetto definitivo ancora non è stato trovato. Ma probabilmente già in quella prima volta agli Europei del ’76, e nella trasformazione iconica di quel genio slavo di Panenka, c’era tutta la risposta al dubbio amletico dei tifosi di pallone.

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