Se fosse accaduto in Italia, dove siamo soliti incolpare sempre qualcuno o qualcosa a scoppio ritardato, forse avremmo dato la colpa al quesito referendario, e forse saremmo riusciti anche a giustificare la vecchietta di turno che non credeva che il sì significasse no, e viceversa.

Invece per la Brexit non è stato cosí: Leave o Remain. Risposta secca. Concisa. Come sono soliti fare loro.

‘Vuoi tu Regno Unito dare un futuro ai tuoi figli in Europa?’ oppure ‘Vuoi tu Regno Unito dare degna sepoltura ai tuoi padri in una terra che dovrà essere d’ora in poi soltanto nostra?’ Ed il 52% ha scelto di dare sepoltura ai padri del Regno Unito D.O.C., tutto qui.

Ora discutere se il voto di un plurilaureato inglese possa valere quanto quello di un operaio, mi sembra superfluo. Certo che sí, lo dice la democrazia.

Il problema, però, è capire se tutti, al di là del proprio ceto sociale, appartenenza e titolo di studio, fossero consapevoli.

Perché, vi assicuro, che conosco giovani e professionisti che aspettavano l’Indipendence Day come noi ‘expat’ attendiamo il ‘pacco’ di cibi e bevande dall’Italia. E gente altrettanto perbene che forse non avrà una laurea in storia contemporanea presso l’Università di Oxford, ma mica gli facevano poi così schifo questi europei, anzi. Fin quando portano benessere e fanno girare l’economia del Paese, perché no. Si sta insieme, nella buona e nella cattiva sorte e se le acque saranno troppo torbide si farà qualcosa per rimediare, ma sempre insieme.

Ed è giusto parlarne nei giorni a seguire. Quasi come fosse per molti l’elaborazione di un lutto che credevano non potesse mai accadere sul serio. Quindi c’è anche chi, al supermercato, rivolgendosi al polacco che gli prepara le buste, avanza opinioni su quanta sia stata eccessiva la libertà di circolazione negli ultimi anni, mentre compra la pasta De Cecco e i mandarini spagnoli.

Peró farmi credere che poco dopo l’esito vi siate messi a cercare su Google cosa significasse Unione Europea (mentre nell’Irlanda del Nord come invece fare per prendere il passaporto irlandese), mi sembra irrispettoso. Nei confronti dei residenti europei relativamente, perché che ci avete tagliato fuori anche dai dibattiti politici è storia nota. Ma di tutti gli altri che invece, a prescindere da cosa avessero scelto per il proprio Paese, l’avevano fatto consapevolmente, portandosi  sulle spalle la responsabilità che il giudizio popolare sia insindacabile, democrazia.

Dunque il firmare petizioni, mandare in tilt il sito internet del governo, il chiedere un secondo referendum da parte di ha votato per restare ed ora grida il proprio malcontento, lo posso comprendere. Ma la leggerezza e il sostenere il fronte opposto appena poche ore dopo da parte di chi ha votato per uscire dall’UE ma poi se ne è pentito perché non lo credeva possibile o perché non si aspettava che Nigel Farage il giorno stesso della deliberazione dell’esito dichiarasse che i 350 milioni di sterline date presuntivamente alle casse dell’Unione in realtà non verranno stanziati per il settore sanitario (punto forte di tutta la sua campagna referendaria sino al giorno prima), non è giustificabile.

Mica stiamo parlando della vecchietta che credeva che la trivella fosse una nuova hit estiva da ballare sulle spiagge?

Lo sapevate, non fateci credere il contrario.

Anche perché i due pilastri di questa campagna pro Brexit, Boris Johnson e Nigel Farage, sono volti noti della politica britannica.

O credevate che a Farage, dopo aver detto che ‘lui non vorrebbe mai un rumeno come vicino di casa’ senza mai condannare le affermazioni xenofobe dei suoi amici di partito, stessero cominciando a stare a cuore le problematiche vissute dal sistema sanitario britannico degli ultimi mesi?

No. Il problema era soltanto uno: non avere più il rumeno come vicino di casa.  E forse non solo per lui.

A meno che non si fosse grandi conoscitori dell’andamento dei mercati finanziari. Ma per quello servirebbe una laurea in International Trade and Finance a Cambridge.

Che poi si fa presto a sostituire ‘rumeno’ con qualche altro. Oggi, probabilmente la parola sarebbe ‘turco’. Le categorie etniche contro cui scagliarsi molto spesso cambiano come il passaggio delle stagioni.

Per cui non tornate sui vostri passi.

Ammettete di aver sbagliato, se credete di averlo fatto, e subitene le conseguenze.

Tanto dagli errori c’è sempre da imparare. Per esempio, una sana consapevolezza non ve la dona di certo una laurea in storia contemporanea ad Oxford.

Ma il desiderio di capire cosa si fa e perché sicuramente sí. E quello dovrebbe essere alla portata di tutti.

Quindi forse il problema, se ce ne dovesse essere uno, è culturale, ma non la cultura come la si intende in senso stretto.

Di Antonia Di Lorenzo. Autrice del romanzo Quando Torni? disponibile in Amazon, Itunes, Kobe, Scribd, Smashwords, Barnes&Noble, Lulu.com e su quest’ultimo anche in versione cartacea. Scrive di Londra anche qui, sul suo blog personale ed in inglese sulla rivista The IT Factor Magazine.

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