Una bistecca dopante. C’è anche questa carta nel mazzo delle linee difensive che il team di legali del marciatore Alex Schwazer sta vagliando nel tentativo di dimostrare l’innocenza dell’atleta altoatesino, nuovamente positivo al doping a seguito di un controllo a sorpresa lo scorso 1° gennaio a Vipiteno. La sostanza proibita – adombra uno dei legali dell’atleta, Gerhard Brandstaetter – potrebbe essere stata ingerita tramite una bistecca mangiata nel cenone di Capodanno, magari trattata con la sostanza in questione, un ormone della crescita. Ma non è su questa linea che i legali Thomas Tiefenbrunner e lo stesso Brandstaetter punteranno tutto per dimostrare l’innocenza del campione olimpico di Pechino 2008 ed evitare la sua esclusione dai Giochi di Rio 2016: ” È solo una possibilità virtuale – spiega Tiefenbrunner – perché non mi risulta che in Alto Adige abbiamo carni trattate con testosterone sintetico”. E poi “è quasi impossibile che una bistecca alteri i valori in maniera così netta. È un’ipotesi fantasiosa, in ogni caso a distanza di sei mesi non è più dimostrabile e quindi non farà parte della nostra strategia di difesa” per poter annullare il procedimento. Rinunciando, insomma, alla tesi della bistecca maledetta, la strategia difensiva del team di legali di Alex Schwazer “si baserà principalmente sulla manomissione della provetta”.

Intanto, come annunciato all’indomani della notizia della nuova positività di Schwazer, è stata depositata il 25 giugno presso la procura di Bolzano dai suoi legali una denuncia penale a carico di ignoti, in cui si ipotizzano i reati di frode sportiva e falso. Sulla possibilità che il prossimo 5 luglio, quando verranno effettuate le controanalisi, il marciatore possa risultare negativo, Tiefenbrunner non si fa molte speranze: “Le possibilità pensiamo siano molto poche”, dice. In caso di sospensione cautelativa dell’atleta, in seguito a una conferma della positività, il legale annuncia che “visto che non ci sarebbe tempo di celebrare il processo prima delle Olimpiadi, chiederemmo la sospensiva per poter far gareggiare Alex a Rio“.

GIUSTIFICAZIONI STRAVAGANTI – Se sulla bistecca maledetta i legali di Alex Schwazer hanno deciso di non puntare fino in fondo, a dirsi vittima di un filetto di carne e ad improntare su quello l’intera sua strategia difensiva fu Alberto Contador. Il ciclista spagnolo, El Pistolero, risultò positivo per un’infinitesima percentuale al clenbuterolo, una sostanza dopante inclusa nell’elenco Wada quale agente anabolico. Nel 2010 fu squalificato per due anni dall’attività sportiva con effetto retroattivo. La condanna travolse, così, tutti i titoli vinti nel biennio 2010-2012: il Tour de France 2010, le nove vittorie conseguite nel 2011, tra le quali due vittorie di tappa e la classifica finale del Giro d’Italia 2011, e due vittorie nel Tour de San Luis del 2012.

Ma l’elenco di giustificazioni più o meno fantasiose degli atleti dinanzi alla positività a sostanze proibite è lungo. Marco Borriello risultò positivo al cortisone, dopo Milan-Roma nel 2006, per aver fatto l’amore, disse. A raccontarlo fu Belen Rodriguez, la sua fidanzata di allora. Lei aveva un’infezione vaginale e usava una pomata a base di cortisone, che sarebbe stata colpevole dei risultati del controllo effettuato nel novembre di quell’anno. “Marco s’è preso la mia stessa infezione e senza pensarci due volte gli ho consigliato di usare la crema al cortisone che il mio medico mi aveva prescritto”, disse. Nulla da fare, il suo Marco si beccò 3 mesi di squalifica.

Qualche anno dopo, nel 2009, il tennista Richard Gasquet, giustificò la sua positività alla cocaina sostenendo di aver baciato una ragazza che aveva appena assunto droga. Nel 2001, invece, delle caramelle alla cocaina regalate dalla zia (fu la terza giustificazione, prima fu il turno dell’anestetico del dentista e del tè alla coca) valsero al ciclista Gilberto Simoni l’assoluzione con formula piena dalla positività alla cocaina riscontrata durante il Giro d’Italia di quell’anno. LaShawn Merritt, positivo nel 2009 a uno steroide, disse che c’entrava una sostanza presa per aumentare le dimensioni del pene. Nel 2006 Justin Gatlin accusò il suo massaggiatore: aveva usato una crema al testosterone. E non è tutto. Come riportato dalla Gazzetta dello sport, l’atleta lituano Raimondas Rumsas, quando fu trovato con la macchina piena di farmaci vietati, scaricò la responsabilità sulla suocera gravemente malata, bisognosa di quei medicinali. Focus, invece, ricorda i casi dei calciatori Fernando Couto e Manuele Blasi, che diedero la colpa ai prodotti per capelli: il primo, noto per la sua chioma, accusò uno shampoo fortificante, il secondo parlò di una lozione schiarente. Ma la scusa più fantasiosa fu senz’altro quella fornita dal ciclista Tyler Hamilton: attribuì i globuli rossi estranei trovati nel suo sangue al fratello gemello morto prima della nascita.

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