Chissà se Renzi avrebbe mai potuto prevedere che il “No Imu day, caduto “casualmente” alla vigilia della chiusura della campagna elettorale più sorprendente di qualsiasi aspettativa, almeno per il Pd, sarebbe stato oscurato dal “caso D’Alema“. L’ex presidente, che si considera un “capro espiatorio” utile al Pd in affanno per addossare ai “dissidenti-traditori” la possibile e probabile sconfitta nella Capitale, nonostante le smentite non troppo convincenti, rimane avvolto dall’alone dello scandalo per aver esternato a favore di Virginia Raggi, o di chiunque altro, pur di assistere ad una pesante sconfitta di Giachetti.

A voler vedere la questione con un minimo di ironia, si potrebbe constatare che l’avvocato Raggi sia, così come descritta dalla narrazione renziana con imponente e totalizzante amplificazione mediatica, la “prescelta” dalla Casaleggio Associati, nonché “sagoma teleguidata da Grillo” (secondo Berlusconi), o una novella e algida maga Circe che avrebbe incluso tra i suoi elettori, oltre agli ex sindaci Alemanno e Marino (come le rinfaccia il suo avversario sostenuto dai verdiniani), persino Massimo D’Alema, “la volpe del Tavoliere”.

Sarebbe stato impossibile immaginare, anche da parte dei più accaniti e perversi detrattori del cosiddetto nuovo corso renziano, un panorama più imbarazzante e tragicomico a Roma, alla vigilia di un ballottaggio già impervio, giocato negli ultimi giorni dal candidato del Pd sulla scommessa intempestiva e altamente pericolosa delle Olimpiadi e sul tentativo di simpatizzare con gli elettori facendo leva sull’approccio molto personale, rassicurante e amichevole. Una situazione che Renzi e la vice-segretaria, sempre più portavoce, Debora Serrachiani, hanno cercato di tamponare e di derubricare come periodico riemergere di “personalismi“, quasi fisiologici all’interno di un partito che “include” e non espelle, a differenza del M5s che “controlla” la candidata Raggi.

Anzi il presidente del consiglio ha accolto senza riserve le “smentite” di D’Alema e, prima di assentarsi dall’Italia nei giorni di chiusura della campagna elettorale, quasi a rimarcare che le amministrative non lo toccano minimamente, ha chiosato che non commenta dichiarazioni altrui: e, verrebbe da aggiungere, tanto più se provengono da Massimo D’Alema e cioè dal “rottamato” più illustre, icona vivente di quell’era di cambiamento tanto sbandierato quanto rimosso, di cui si è già persa la memoria. Probabilmente, in larga parte i cittadini romani che domenica troveranno ancora la determinazione di prendere o richiedere la tessera elettorale e di recarsi al seggio non saranno più di tanto interessati a chi decideranno di votare D’Alema o Marino, né, tantomeno, Alemanno. E si può supporre che non si interrogheranno in modo assillante su quello che ha detto veramente D’Alema e se faceva sul serio o, se come si è precipitata a dichiarare una delle fonti “più autorevoli”, e cioè Gaetano Quagliariello, si è trattato solo di “iperboli e frasi amene”.

Quello che è più rilevante è il livello dello scontro e il clima molto oltre la resa dei conti all’interno del partito di governo che ha snobbato il voto amministrativo per cavalcare prematuramente e spregiudicatamente il referendum costituzionale: e, fatalmente, si trova impigliato nella Capitale in una querelle che mette platealmente in evidenza non solo l’impossibilità di proseguire su un cammino comune, ma anche l’assoluta incapacità di affrontare un appuntamento elettorale, in una situazione già gravemente compromessa, in modo quantomeno dignitoso. Se poi, come viene vagamente ventilato, si dovesse assistere alla sceneggiata di un “appello” di D’Alema pro Giachetti last minute, allora dalla tragicommedia si passerebbe alle comiche finali.

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