“Ancora oggi molti non si capacitano del fatto che dal caffè possano nascere i funghi”. È il 2013 quando a Capannori, in provincia di Lucca, si incontrano per la prima volta Antonio di Giovanni, 30 anni, molisano, laureato alla Facoltà di Agraria di Firenze, e Vincenzo Sangiovanni, 33 anni, architetto napoletano: da lì inizia il percorso che porta alla nascita di Funghi Espresso, la prima startup italiana che produce funghi freschi in modo sostenibile e naturale, utilizzando i fondi del caffè provenienti dai bar e dai ristoranti del territorio come substrato per la coltivazione.

“I rifiuti non esistono”: è questo il motto di Antonio e Vincenzo. L’idea è quella di realizzare un nuovo modello di agricoltura sostenibile, basata proprio sul riutilizzo degli scarti. “Su internet ho scoperto la Blue Economy durante le ricerche bibliografiche per la mia tesi di laurea specialistica in Architettura – racconta Vincenzo a ilfattoquotidiano.it –. Mi sono reso conto che in tanti, soprattutto all’estero, stavano producendo funghi dal fondo di caffè e ho deciso di provarci anche io nel mio garage”.

“Mi sono reso conto che in tanti, soprattutto all’estero, stavano producendo funghi dal fondo di caffè e ho deciso di provarci anche io nel mio garage”

L’idea è che non esistono scarti, ma risorse. Il processo inizia proprio dai bar e dai ristoranti del territorio, dove Vincenzo e Antonio vanno mediamente due volte la settimana per raccogliere i fondi del caffè. “Una volta raccolto, il fondo di caffè viene portato in azienda e inoculato: mettiamo cioè il seme del fungo al suo interno – spiega Vincenzo –. Tutto poi viene messo dentro dei sacchi e spostato nella cella di incubazione ad ambiente controllato. Qui i sacchi rimangono per 25 giorni: dopo questo periodo sono pronti per essere coltivati. Il fondo di caffè dà al fungo tutti i nutrienti per crescere: in soli 7 giorni sono pronti per essere raccolti”.

Le prime reazioni sono state di stupore, incredulità, paura. “Nessuno ci credeva”, ricorda Antonio. “L’unico modo per convincerli era farglieli provare, ed eliminare ogni dubbio sul fatto che i funghi sapessero di caffè”, sorride. Le difficoltà più grandi sono arrivate dalla burocrazia: “La nostra è stata riconosciuta come la prima azienda agricola ‘senza terra’ in Italia – spiegano –. Per raggiungere questo risultato ci sono voluti più di un anno di rimbalzi politici tra Regione, Provincia e Comune”.

“Entro settembre lanceremo un prodotto basato sul riutilizzo del fondo di caffè”

I ruoli all’interno dell’azienda non sono separati in maniera netta. Vincenzo si occupa della parte legata all’ambiente di produzione e alla grafica mentre Antonio si impegna nella fase di vendita e formazione. “Siamo una startup e quindi facciamo un po’ di tutto”, sorridono. Nel 2014 è diventato socio di Tomohiro Sato, 57 anni, imprenditore giapponese, attivista e sostenitore del movimento Rifiuti Zero, che ha deciso di spostarsi in Italia e investire nella startup dei due trentenni.

Da circa un anno, poi, la società si è spostata dal comune di Capannori a Firenze, dove è ospite dei locali dell’Istituto Tecnico Agrario. “Avevamo bisogno di stare in città: la domanda era crescente e il nostro progetto si struttura proprio sul concetto di Urban Farming”, spiega Antonio. Nel 2015 i due startupper hanno lanciato una raccolta fondi online per progettare e realizzare il primo prototipo di container. “Il container è proprio quello che ci serve per realizzare il nostro sogno – spiegano –. È grande, protegge la coltivazione dalle contaminazioni, funziona con un limitato consumo di energia e di suolo e – soprattutto – è un modulo di dimensioni standard, quindi facilmente trasportabile e replicabile, anche in città”.

“L’Italia ha molte possibilità nel settore food. Il segreto è valorizzare bene i nostri prodotti”

Vincenzo e Antonio sono ottimisti. “Prevediamo entro l’anno di riuscire a raggiungere il punto di pareggio con la vendita del fungo fresco”. La giornata in azienda è ricca d’impegni. “Entro settembre lanceremo un altro prodotto innovativo, sempre basato sul riutilizzo del fondo di caffè. Inoltre implementeremo la formazione e la didattica con le scuole, in modo da diffondere anche alle nuove generazione la cultura dei rifiuti zero e dell’economia circolare”, spiegano.

La startup sta lavorando con associazioni e comuni in modo da far diventare il progetto anche una possibilità di reinserimento lavorativo per le persone svantaggiate. Proprio a settembre partirà una collaborazione con il carcere di Sollicciano, il principale istituto di detenzione di Firenze, che ospita detenuti a regime speciale che possono anche impegnarsi in lavori esterni. La strada, insomma, sembra quella giusta: “Crediamo che il nostro Paese abbia molte possibilità di sviluppo, soprattutto nel mondo del food. Il segreto – concludono – è imparare a valorizzare i nostri prodotti”.

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