Quattordici edizioni, tre grandi sorprese. L’ultima volta accadde dodici anni fa, in Portogallo, dove la Grecia mandò in psicanalisi un Paese intero strappando il titolo ai padroni di casa. Prima era toccato alla Danimarca, anno 1992, e a metà Settanta fu invece la Cecoslovacchia a scrivere una delle pagine più inattese nel calcio del nostro continente. Tre storie da raccontare calendario alla mano, perché dal 1960 non sono mai state più di tre le edizioni senza un risultato inaspettato. E dal trionfo ellenico ne sono già passate due.

PANENKA, L’UOMO CHE ISPIRO’ TOTTI  Quando si parla di grandi sorprese nella storia degli Europei, la mente corre subito a un anno e un nome: 1976, Antonin Panenka. Perché di quella Cecoslovacchia sconosciuta oltre i propri confini, capace di battere l’Olanda del calcio totale e la Germania Ovest campione del mondo, viene ricordato innanzitutto il rigore dolce che regalò alla nazionale ceca il trionfo continentale. Inaspettata e impronosticabile, la vittoria arrivò nella fase finale di Belgrado al termine di una lunga corsa iniziata malissimo. La prima partita del gruppo 1, infatti, vide l’Inghilterra strapazzare la Cecoslovacchia 3-0. Un capitombolo. Il primo e l’ultimo di un cammino immacolato. Gli uomini di Vladislav Jezek vincono il girone mettendosi alle spalle la stessa Inghilterra e il Portogallo. Ai quarti superano l’Urss grazie al 2-0 in casa e al pareggio in trasferta, guadagnandosi l’accesso alle semifinali di Belgrado dove arrivano anche l’Olanda, la Germania Ovest e la Jugoslavia. Nessuno ancora crede che tra Cruijff, i tedeschi campioni del mondo e i padroni di casa possano spuntarla i cechi. Che però sorprendono subito l’Olanda in semifinale, impedendole di tentare la rivincita della finale mondiale contro la Germania. Ondrus è il protagonista dei primi novanta minuti: gol e autogol spingono la partita ai supplementari, dove Nehoda e Veseli fissano il 3-1 dopo una battaglia giocata su un campo allagato dalla pioggia martellante che bagna Belgrado. La Germania, priva di Gerd Mueller, supera la Jugoslavia, ancora ai supplementari, per 4-2 dopo essere andata sotto di due gol nella prima mezz’ora. Una rimontona che pare spianare la strada al bis continentale. I tedeschi non hanno fatto i conti con i cechi Svehlik e Dobias: dopo 25 minuti sono già sotto 2-0. Troppo poco per fermare la Germania: Dieter Mueller e Hoelzenbein a un minuto dalla fine fissano il 2-2 che non si schioda durante i supplementari. Per la prima volta, quindi, l’Europeo si assegna ai rigori. L’errore dei campioni in carica porta la firma di Hoeness, il sigillo ceco è di Antonin Panenka. L’attaccante del Bohemians Praga batte centrale con una parabola morbida. Un’esecuzione mai vista. Sepp Maier si tuffa e viene battuto da quella traiettoria beffarda che nessuno aveva tentato. Fino al 20 giugno 1976, fino al colpo di genio di Antonin Panenka da Vrsovice, giocatore ‘qualunque’ che ha ispirato Totti, Zidane, Pirlo e Messi. Tutto il mondo chiama quel modo di battere The Panenka. Per noi è il cucchiaio.

IL ‘TRISTE’ MIRACOLO DANESE A SVEZIA ‘92 – Gruppo 4 delle qualificazioni a Svezia ’92: Jugoslavia 14, Danimarca 13.  La storia sul campo era andata così. Ma la storia, quella della vita di tutti giorni, aveva iniziato a disgregare la Jugoslavia dilaniandola prima dell’inizio degli Europei. Una nazione che semplicemente non c’era più, bloccata in campo sportivo anche dalla risoluzione 757 dell’Onu. Ecco allora che viene ripescata la Danimarca, avvisata ad appena 10 giorni dall’esordio mentre molti suoi giocatori erano già in vacanza. Squadra dura, priva di Miki Laudrup però, dopo i dissidi con il ct Richard Moller-Nielsen. Un litigio che aveva lasciato strascichi interni visto il folto gruppo della famiglia Laudrup nella nazionale. Infatti l’avventura parte male: pareggio contro l’Inghilterra, sconfitta contro la Svezia. Resta una sola combinazione per salvarsi, vittoria contro la Francia e contestuale successo della Svezia sugli inglesi. Va esattamente così e la Danimarca di Peter Schmeichel, Lars Olsen, Henrik Larsen e di Brian Luadrup guadagna le semifinali assieme ai padroni di casa, all’Olanda e alla Germania, la grande favorita. La sfida dei danesi è agli Orange. Il faccia a faccia con Marco Van Basten, Frank Rijkaard, Ruud Gullit e Dennis Bergkamp appare impossibile. Invece la Danimarca passa due volte in vantaggio ma viene sempre raggiunta, poi ai rigori ci pensa Schmeichel a neutralizzare il tiro di Van Basten che vale la sfida alla Germania per la conquista del titolo. Altro confronto apparentemente impossibile, ma ribaltato. I gol di Jensen e Vilfort sigillano una partita, la migliore giocata durante l’Europeo, dominata davanti ai campioni del mondo. Vittoria in campo e fuori: una parte dei premi vengono destinati a un fondo di solidarietà per la guerra civile jugoslava.

LA GRECIA IN PORTOGALLO: QUESTIONE DI TESTA – Il massimo risultato con il minimo sforzo, finendo così come si era cominciato. Il terzo miracolo europeo è quello scritto dalla Grecia in Portogallo nel 2004, beffando proprio i padroni di casa. Gli ellenici, allenati da Otto Rehhagel, erano quotati 150 a 1 ma trovarono i venti giorni migliori della loro storia arrivando dove nessuno osava pronosticarli. Nonostante un cammino sempre sul filo dell’eliminazione, pur essendo partiti con la vittoria 2-1 nel gruppo A contro i lusitani. Poi il pareggio con la Spagna e la sconfitta contro la Russia, indolore grazie al gol del 2-1 che manda a casa la Spagna. Dai quarti in poi, l’avventura diventa una questione di testa, metaforica e reale. Nei quarti la Grecia doma la Francia, campione in carica, a livello tattico con difesa e pressing asfissiante. Il gol vittoria arriva con un’incornata di Charisteas e spedisce gli ellenici in semifinale davanti alla Repubblica Ceca. La partita, come tutte quelle della Grecia, è combattuta e poco spettacolare. Si risolve nei supplementari grazie a una rete, ovviamente di testa, di Traianos Dellas, difensore della Roma. È finale, ancora contro il Portogallo, grande favorito nonostante la sconfitta ai gironi. Il momento di svolta è il minuto 15 della ripresa: ai tifosi arrivati da Atene basta una palla in calcio d’angolo per esaltarsi. Gli ormai ‘dei’ di Rehhagel sono preparatissimi sui calci piazzati. Batte Angelos Basinas, Charisteas supera Costinha in elevazione e beffa Riccardo, fuori dai pali, con un altro colpo di testa. “L’Antica Grecia aveva dodici dei. La nuova ne ha 11”, recitava la scritta sul pullman della nazionale. E infatti quella squadra resterà immortale.

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