Dopo aver incassato “il no grazie” al suo “sostegno” da tutti i candidati sindaci del Pd ai ballottaggi del prossimo 19 giugno – con qualche frecciatina avvelenata, come quella di Virginio Merola che ha segnalato a Bologna già “la problematicità” della presenza di Matteo Salvini – Matteo Renzi ha lanciato dalla sua e-news la grande chiamata per giovedì 16.

Il presidente-segretario è riuscito a rimanere semisilente per nemmeno 48 ore, dopo la promessa minacciosa del lanciafiamme per bonificare il partito dalle correnti, tracollato a Napoli con il 42,6% preso dal sindaco arancione Luigi De Magistris. Non solo, Renzi ha sentito l’esigenza di fare l’ulteriore sparata, priva letteralmente di significato, sulla “ingovernabilità” del Paese se vincesse il “no” al referendum costituzionale di ottobre.

Come era stato evidentemente pianificato, la data del 16 giugno – vista la scelta non casuale di fissare le amministrative il 5 giugno – cade a tre giorni dal voto sui ballottaggi quanto mai incerto e insidioso per il Pd, su cui Renzi ha tentato con ogni mezzo di mettere la sordina derubricando la partita elettorale a gioco locale anche per Roma, Milano, Torino.  Dunque diventa fondamentale trasformare l’annunciata “festa per la liberazione dalle tasse” nel clou di una campagna elettorale che il governo sta giocando in prima persona, al di là delle dichiarazioni di rito, anche con interventi arroganti e gravemente invasivi come quello del ministro Maria Elena Boschi sul taglio degli investimenti a Torino nel caso vincesse il Movimento 5 stelle.

Così sempre in omaggio alla coerenza e alla perfetta corrispondenza tra il dire e il fare a cui il Pd renziano ci ha abituato, mentre il segretario-presidente continua a ripetere ossessivamente che i ballottaggi riguardano i territori e avranno solo effetti locali ed i vice-segretari scommettono su un’affermazione al 90%, è arrivato l’ordine di mobilitazione che deve coinvolgere compattamente e capillarmente tutto il partito, a cominciare dai dirigenti e dai parlamentari per il penultimo giorno di campagna elettorale.

La lettera di mobilitazione è partita dai capigruppo e dai vicesegretari e conferma la totale sovrapposizione dei cavalli di battaglia renziani, delle rivendicazioni dei successi governativi o della propaganda, a seconda dei punti vista, con la lotta senza esclusione di colpi per le amministrative che il presidente del Consiglio aveva tentato ostinatamente di bypassare con il plebiscito sulla sua persona lanciato con grave disprezzo istituzionale sul referendum di ottobre.

Dalla mobilitazione generale per il funerale della Tasi ha preso le distanze la minoranza Dem, da sempre critica con l’abolizione dell’imposta sulla prima casa per tutti che non a caso ha pienamente realizzato un dogma berlusconiano.

Ma vale la pena di sottolineare che il motivo per cui i soliti “malpancisti” su cui il segretario si eserciterà con il lanciafiamme si smarcano è molto semplice, tanto da sembrare persino “provocatorio”: giovedì saranno impegnati per i ballottaggi. E pensano che i due piani, e cioè il governo che vuole celebrare “un risultato” e la campagna del Pd per i ballottaggi, debbano rimanere distinti.

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