Secondo un sondaggio realizzato dalla catena di negozi inglese Marks and Spencer insieme a Oxfam, le donne impiegano 17 minuti in media al giorno per decidere cosa indossare. Che significa sei mesi di vita passati a contemplare l’armadio. Per non dire del tempo per la cura del corpo, cui si aggiunge quella dei capelli. Cui si aggiunge il tempo dedicato allo shopping, alla moda e poi all’estetista. Il trucco e l’epilazione, le scarpe e gli accessori e chissà cos’altro. La palestra e la dieta, e quando compare qualche ruga arrivano i primi ritocchi.

A volte mi chiedo, ma quanto deve guadagnare mediamente una donna moderna per far fronte alla manutenzione della sua estetica? Si direbbe parecchio. Ma quindi si espone a grande stress, che ne peggiora i connotati e la costringe a ulteriori interventi di modifica. Non si accorgono queste giovani donne (e ne vedo tantissime aggirarsi per la città, sempre affannate e in ansia) di essere finite in un circolo vizioso con uno stile di vita che le abbrutisce e poi le sfrutta promettendo loro miracolosi elisir di eterna giovinezza e bellezza?

Queste manie di perfezione estetica, questa nevrosi di apparire senza un difetto ricade poi anche sui rapporti con l’uomo, il quale poi non è mai all’altezza di questo sforzo continuo che fanno, non è mai sufficiente nemmeno lui (ed è una delle ragioni per le quali le relazioni sono quantomai instabili). L’impressione è che non è più per piacere all’uomo che la donna moderna si abbellisca, ma proprio per una sua personale mania di perfezionismo compulsivo. Una specie di gara tutte contro tutte, che poi è persa in partenza, perché si oppone agli effetti del tempo il cui arresto è pia illusione. Finisce che all’uomo questo genere di donna (non sono tutte così naturalmente) non lo attira più perché in questa smania estetica iper-competitiva si eclissa completamente la femminilità. Cosicché vedi molte giovani curate sin nel minimo dettaglio, vestite secondo l’ultima tendenza, ma sole. O donne avanti con l’età completamente sfigurate dai bisturi. Insomma una ricetta di infelicità.

Ma c’è chi è assai lieto di questa situazione ed è il sistema economico. Il giro d’affari mondiale che ruota attorno alle esigenze femminili (moda, cosmetica, chirurgia estetica, ecc) vale miliardi di euro e le donne sono protagoniste come fruizione ma anche come propulsione ed eccezionale volano ai consumi visto che non si vende prodotto che non abbia una figura femminile che lo accompagni.

Nessuno ha mai il coraggio di mettere in discussione il mito dell’emancipazione femminile: siamo indotti a pensare (loro per prime) che le donne abbiano fatto solo passi avanti negli ultimi 40 anni, ma io credo che si siano finalmente emancipate dall’uomo, per finire, però, auto-sottomesse a un sistema che sfrutta le loro debolezze e cavalca le loro vanità. E le rende disposte a tutto pur di ottenere benefit (anche il partner è quotato in base a questo parametro) per appagare una lunga lista di desideri superficiali. Io credo che la prospettiva di miglioramento di questa società dipenderà in buona parte delle future generazioni di donne, se sapranno fare un ulteriore passo di emancipazione, anche come consumatrici.

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